Capitolo 2

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All'inizio rimasero in silenzio. Quasi come se volessero ascoltarlo
davvero. Lo avevano lasciato parlare. Allison aveva tenuto stretto tra le mani per tutto il tempo il rosario con la croce che portava al collo, quello che – gli aveva raccontato – le aveva regalato la nonna di Will quando aveva dieci anni.
Kevin era stato il primo a parlare. «Ti piace scherzare, ragazzo.»
Ma il modo in cui lo disse faceva intendere che non pensava affatto
fosse uno scherzo. La sua voce era piatta, come se fosse vuota.
«Papà...»
«Dovresti rimangiarti tutto» ha aggiunto, così che potessero fingere che non fosse successo nulla, come se la conversazione appena avvenuta fosse polvere da nascondere sotto il tappeto. Ma non era possibile. E anche se lo fosse stato, Will non lo avrebbe voluto.
«Mamma.» Will si rivolse a lei. Allison aveva continuato a spostare lo sguardo tra Will e Kevin senza dire nulla. «Dì qualcosa»
Ma aveva continuato a non dire nulla. E suo padre ad arrabbiarsi sempre di più. Non aveva alzato la voce, in realtà, la sua voce era calma in modo inquietante.
Erano rimasti seduti lì, completamente immobili.
«Tu sei il nostro ragazzo, Will. Questa cosa non ha senso.»
«Papà, posso...»
«Prepara i bagagli ed esci da casa mia, vattene da qui.»
«Cosa?» chiese Will, con un filo di voce.
«Mi hai sentito.»
«Per favore.» Will li supplicò. «Non fatemi questo.»
Uno sguardo furente dal padre lo convinse ad obbedire e Will corse in camera sua a fare i bagagli mentre le lacrime iniziavano a rigargli il viso. Appena presa la valigia suo padre lo spinse verso la porta, sua madre rimase dietro di lui. Will
continuava a pregarli e pregarli, ma non aveva alcun effetto su di loro.
«Dio non ti vorrebbe così, Will» disse Allison prima che la porta si chiudesse.

«Rispondi, ti prego» mormorò Will tenendo il cellulare poggiato all'orecchio, mentre cercava di ripararsi dal freddo pungente, con lo sguardo fisso sulle lucine di Natale nelle vetrine dei negozi che ancora brillavano nonostante fosse la vigilia di Capodanno.
Nell'arco di un'ora tutta la sua vita gli era crollata addosso. E in quel momento era lì, che camminava per il centro, che cercò di chiamare un fratello che non vedeva e non sentiva da quasi cinque anni.
Non aveva un'auto e nessun altro a cui chiedere aiuto, quindi Simon era la sua unica speranza.
Simon rispose al terzo squillo. «Pronto?» Simon sembrava esausto, ma in fondo non era così tardi.
«Simon, sono Will.»
Sentì un sussulto, un rumore o qualcosa del genere dalla sua parte.
«Will? Che succed...»
Lo interruppe. «Puoi venire a prendermi?»
«Cosa? Perché? Cos'è successo?»
«Simon.» Will si guardò intorno. La strada era deserta, probabilmente a
causa delle temperature sempre più basse. Erano tutti al chiuso, al riparo in posti caldi e accoglienti.
«Will, sei ancora lì? Dove sei?»
«Fuori dall'Empire State Building.» Si infilò le mani dentro le tasche del giubbotto, tenendo in equilibrio il telefono tra la guancia e la spalla. Dalla parte di Simon sentì qualcuno che parlava.
«Merda, che ci fai lì? Fuori ci saranno zero gradi.»
«Mamma e papà mi hanno cacciato di casa.»
Gli rispose solo il silenzio, e per un secondo pensò che fosse caduta la
linea. Cavolo, non credeva che riuscisse a richiamare una seconda volta perchè sfortunatamente aveva la batteria scarica.
«Cosa?» Simon sembrava quasi impassibile, era la voce che usava quando era davvero arrabbiato. Di solito contro loro padre per qualche
stupido motivo.
«Perché avrebbero fatto una cosa del genere?»
«Per favore, puoi solo venire a prendermi? Ti posso... ti posso spiegare tutto dopo.»
«Sì. Certo, certo. Aspettami, okay?»
Diede a Simon l'indirizzo,
prestando attenzione a tutti i rumori che sentiva in sottofondo.
«Va bene, sarò lì il prima possibile.»
Simon viveva a Greenwich, era a circa un'ora e mezza di distanza in macchina. Quindi Will aspettò per un po'.
Si sedette sullo scalino di un negozio mentre ogni respiro si trasformava in nube di fumo nell'aria.
Gli facevano male le gambe per aver camminato per così tanto.
Non si accorse subito che stava tornando a piangere. Forse perché la sua faccia era ancora indolenzita dal freddo che c'era in strada, o forse perché, prima di chiamare Simon, tutto quello che aveva fatto era stato piangere per due ore di fila. Aveva la vista annebbiata mentre continuavano a scendergli le lacrime sulle mani che teneva intrecciate sulle ginocchia. Fece del suo meglio per asciugarle, ma gli bruciavano da morire gli occhi.
Mentre camminava fino a lì non sentiva nulla, si sforzava di arrivare
nell'unico posto dove poteva di sicuro trovare riparo.
«Dio non ti vorrebbe così, Will»
Le parole di sua madre riapparvero nella sua mente. La porta si era richiusa e aveva desiderato ardentemente che si riaprisse. Aveva desiderato che fosse solo uno scherzo
crudele, uno scherzo per cui poterli perdonare più avanti. Aveva provato a girare la maniglia ma niente, neanche la chiave di scorta nascosta sotto il tappeto nel portico non aveva funzionato perché avevano tirato anche il chiavistello.
"Cosa posso fare ora? Non mi avrebbero ripreso in casa, vero? Avrei voluto tornarci? Simon avrebbe avuto delle risposte? Non so nemmeno cosa diavolo dovrei dirgli, o se sarebbe stato in grado di aiutarmi. Cavolo, e se lui avesse reagito male come mamma e papà? Se solo non avessi mai aperto bocca."pensava, attonito.
Non riesciva quasi a crederci, ma erano passati davvero cinque anni
dall'ultima volta che aveva parlato a Simon, da quando si era laureato, da quando se n'era andato lasciandolo con loro. Poteva essere diventato una persona completamente diversa. Il tipo di persona che odiava quello che era. Lui pensava che sua madre e suo padre non lo fossero, e invece.
«Will?»
Quando sentì la voce di Simon ebbe un sussulto ma per mancanza di coraggio non alzò lo sguardo.
«Willie?» Nessuno lo chiamava più così da tanto tempo. «Andiamo.»
Gli sembrava impossibile che Simon fosse già arrivato.
«Simon?» riuscì a mormorare. Alzò lo sguardo e osservò suo fratello. Era cambiato dall'ultima volta che si erano visti: aveva i capelli biondo cenere -come i suoi- rasati ai lati e lunghi in cima, era più magro e indossava un giubbotto pesante sopra un maglione di lana. Sotto portava un paio di jeans e le Nike.
«Andiamo. Ti porto a casa.»
Will scosse la testa, impallidendo. «No!» Il solo pensiero di tornare là... Non poteva tornare.
«Intendevo casa mia, William. Andiamo.» disse, facendo un accenno di sorriso.
Simon lo aiutò ad alzarsi. Dopo circa un'ora su quel marciapiede, le gambe iniziarono a formicolargli.
Fortunatamente, Simon aveva lasciato la macchina accesa. Aiutò suo fratello a sedersi sul sedile del passeggero e gli allacciò la cintura prima di affrettarsi al posto di guida.
«Ti senti bene?» Simon uscì in retromarcia dal parcheggio, gettando
uno sguardo tra Will e il parabrezza posteriore.
«Sì» rispose Will, anche se "bene" era l'ultima parola che avrebbe usato per descrivere come stava in quel momento.
«Hai fame?»
Will non rispose. In realtà non ne aveva. Sua madre aveva fatto il pollo per cena, ma siccome stava programmando tutto questo da settimane ormai, il suo stomaco era stato tutto il giorno sottosopra, al punto che sapeva che non avrebbe digerito nulla, se anche avesse ingerito qualcosa.
Persino in quel momento, a stomaco vuoto, il suo appetito era inesistente, il solo pensiero del cibo gli faceva venire la nausea.
«Will?» Simon ripetè il suo nome, ma la sua voce sembrava lontana mille
miglia. Allora lo sentì mormorare tra sé e sé: «Ok, ti porto all'ospedale».
«No.» Will gli afferrò il braccio, come per fermarlo dal fare un'inversione a U«Sto bene, giuro.»
«Will.»
«Possiamo solo... andare a casa tua? Per favore?»
Simon guardò suo fratello negli occhi, con gli stessi occhi azzurri che appartenevano anche a Will e che entrambi avevano preso dalla loro madre.
«Okay.» Simon continuò a guidare sulla strada principale, il silenzio
rotto solo dal suono ritmico del motore. «Non hai voglia di parlarne,
vero?»
Will scosse la testa, guardando fuori dal finestrino. «Non ora.»
«Va bene, cerca almeno di dormire un pochino. Ti sveglio quando arriviamo»

Durante il viaggio non parlarono, la macchina si riempì della musica a basso volume che usciva dalla radio, una canzone Pop dopo l'altra.

Will provò a dormire, o almeno a rilassarsi, a non pensare a quello che aveva fatto.
Ma era impossibile. Perché aveva pronunciato quelle parole.
"Sono gay."
Allison e Kevin erano rimasti seduti immobili per qualche secondo. Papà
era stato il primo a reagire, aveva chiesto una spiegazione. A Will sembrava giusto, forse addirittura un buon segno. Non sapeva cosa pensare, ma a quel punto avrebbe accettato qualsiasi reazione.
Poi suo padre aveva usato quell'insulto che inizia per F ed era stato come ricevere uno schiaffo dritto in faccia. Non gli aveva mai sentito dire quella parola prima. Quello era stato il momento in cui qualcosa è sprofondato nel suo
stomaco. Erano iniziate le urla, e tutto si muoveva così veloce, non
riusciva a parlare né a capire cosa stessero dicendo.
"Te ne devi andare" aveva detto suo padre con un dito puntato verso di lui.
«Will?»
Doveva essersi appisolato a un certo punto perché si sentiva i muscoli rigidi e le palpebre pesanti.
«Siamo arrivati.» Simon parcheggiò la macchina ma lasciò il motore acceso e il riscaldamento continuava a buttare fuori aria calda.
Will osservò la casa. Aveva i mattoni a vista marroni e l'intonaco blu. L'aveva già vista nelle foto su Instagram. L'unico modo che aveva per sapere cosa succedeva nella vita di Simon.
«Puoi dormire nella stanza degli ospiti, okay?»
Will annuì e lo seguì. Simon aprì la porta e guidò suo fratello su per le scale, accendendo la
luce nella camera degli ospiti.
«Il bagno è a sinistra dall'altra parte del corridoio, se vuoi farti una doccia o altro.»
Will studiò la stanza: c'era un enorme letto matrimoniale con due cuscini.
Non c'erano foto appese alle pareti o soprammobili sulla cassettiera.
«Tieni.» Simon aprì le ante specchiate dell'armadio e prese delle
coperte. «Cerca di dormire. Risolveremo tutto domani mattina, okay?»
Will annuì di nuovo e fissò il letto. Simon sembrò sul punto di
aggiungere qualcosa, o di abbracciarlo o dirgli che sarebbe andato tutto bene. Ma
non fece nulla di tutto questo. Come se anche lui sapesse che non era vero.
Si chiuse la porta alle spalle, lasciando Will nella stanza ancora più vuota.
Frugò nella valigia in cerca di una tuta e poi si infilò sotto le lenzuola del letto morbido. Si girò e si rigirò ma dopo qualche minuto capì che non sarebbe riuscito ad addormentarsi quella notte. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva le espressioni dei suoi genitori. Visi vividi, proprio di fronte a lui, che urlavano.
Quando li apriva invece non vedeva nulla nell'oscurità di quella camera vuota.
Si allungò per raggiungere il cellulare sul comodino -che intanto aveva messo sottocarica- e passò da un video all'altro finché gli occhi non iniziarono a chiudersi.

Un fidanzato sotto l'alberoWhere stories live. Discover now