1.6 - Il giorno dei giochi

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Il giorno dei giochi giunse quasi come una liberazione. Fino a quel momento, Taur riuscì a mascherare la sofferenza a cui lo obbligava la ferita al torace. L' esaminò togliendosi la fasciatura: non si era rimarginata. Era veramente un brutto spettacolo da guardare. L'ancella Naima, incaricata di prendersi cura di Taur, rimase sconcertata nel cambiargli la fasciatura che copriva la lacerazione. Pregò in ogni modo il torantiano di farsi vedere da un medico, ma egli fu irremovibile: non avrebbe mai ceduto il suo titolo di campione a qualcun altro rinunciando a combattere. Avrebbe preferito morire nell'arena piuttosto che arrendersi ad una piccola piaga. Ormai la sua vita non aveva altro senso al di fuori dei giochi.

Di fronte alla testardaggine di Taur, Naima si piegò sulle ginocchia stringendo le gambe dell'uomo e singhiozzò concitatamente. «Dovete proprio andare? Non avete alcuna premura della vostra vita?»

Il torantiano trovò intollerabile il pianto e la disperazione di lei. La sollevò delicatamente e con tutta la serietà possibile.

«Sono il campione, Naima! Tornerò vincitore» provò a rassicurarla.

Naima però non fu per nulla confortata dalle sue parole e si allontanò asciugandosi gli occhi.

Dopo un frugale pasto, i cuniatori furono fatti salire su un carro che li avrebbe trasportati dal palazzo di Badovario fino all'arena di Anenco. Come Taur prese posto, iniziò a sudare freddo e a sentirsi attanagliato da una stomachevole nausea. Guardando di fronte a sé si accorse che davanti a lui, in quell'angusto spazio, era seduto Giunbida. Lo fissava con il suo tipico sguardo spento e melanconico, costringendolo a chiedere nervosamente a Villiedo di cambiare posto. Quest'ultimo acconsentì con una fievole costernazione. Arrivati nei pressi dell'arena, lo strepitare della folla accorsa lo disturbò vivamente. Come i cuniatori furono fatti scendere, Taur fu agitato da crampi intensi che si contraevano nel ventre. Si piegò sulle ginocchia e rigurgitò sul terreno l'intero pasto consumato precedentemente.

«Taur, come ti senti?» chiese Eolfo con una nota di preoccupazione.

«Sto bene, sto bene...» rispose il campione, abbozzando un lieve sorriso posticcio. «I frequenti sobbalzi della carrozza devono avermi scombussolato lo stomaco, ma ora che siamo arrivati mi sento meglio!» Respirò profondamente davanti al tallista per mostrare di essersi ripreso, soffocando ogni manifestazione di dolore mentre una fitta lancinante sul petto lo scuoteva internamente.

Il gruppo di lottatori camminò in ordine serrato verso il padiglione appena montato, dove diligentemente presero tutti posto a sedere in attesa di ulteriori indicazioni da Eolfo. In quei momenti, il tempo colava lentamente, trasformando ogni sentimento di tensione e preoccupazione che invadeva lo spirito in un'angoscia abissale. Ogni atleta cercava di dominare i propri nervi con la ragione, immerso in un teso silenzio.

Taur si poggiò stancamente ad un palo di sostegno tenendo gli occhi chiusi. Il bagliore del sole che filtrava attraverso la tenda lo infastidiva. Cercò di concentrare tutte le energie a sé lottando contro i suoi demoni interiori, quando si sentì attanagliato da un acuto tremito che lo costrinse a spalancare le orbite e rimettere il capo dritto: ancora una volta quel maledetto nocediano sedeva davanti a lui dall'altro lato del padiglione, fissandolo con uno sguardo rigido come la pietra. I due erano distanti di parecchi passi, ma Taur sentiva come se Giunbida gli fosse addosso e lo schiacciasse contro la parete, opprimendo il suo torace talmente tanto da fargli mancare il respiro.

«Che succede Taur?» esclamò Villiedo che lo stava osservando da quando gli era stato chiesto di scambiarsi di posto sul carro. «Sei diventato improvvisamente pallido! Sei sicuro di stare bene?»

«Villiedo, ti prego! Fallo smettere» ansimò Taur e con un movimento della testa indicò Giunbida.

«Cosa sta combinando quello scemo?»

Il sentiero del dragoWhere stories live. Discover now