1.9 - La guarigione di Taur

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Passarono tre giorni da quell'incontro e la febbre per Taur divenne solo un ricordo. La ferita ancora gli doleva e gli procurava un insopportabile prurito, ma egli poté notare come il colore diveniva più sbiadito di giorno in giorno a ogni applicazione di quel portentoso unguento che Giun gli aveva donato. Riprese a bere e a mangiare senza che un senso di nausea lo disturbasse e sentì che le forze tornavano a rinvigorire i suoi muscoli. Apparve di umore migliore e indubbiamente si sentì più sollevato. Dopo sei giorni, venne il medico a fargli visita e rimase pressoché sbalordito dal veloce recupero del cuniatore: la ferita aveva iniziato a guarire e a rimarginarsi così diede il permesso a Taur di abbandonare finalmente il letto e riprendere a deambulare. Pieno di gioia, la prima cosa che gli venne in mente di fare fu di sgattaiolare fuori dalla stanza e giungere nel patio che dava sul campo di allenamento per rivedere finalmente la luce del giorno. Ne aveva avuto abbastanza dell'aria stantia nell'ambiente chiuso. Inondate dalla luce del sole, rivide finalmente le familiari facce dei suoi compagni: grinzose, bagnate dal sudore e deformate dalle espressioni della fatica. Si agitavano come in una danza dall'irregolare ritmo, sbuffando e digrignando i denti per l'impegno mentre il sudore scivolava lungo la pelle fino a incontrar la terra.

La sua contemplazione fu interrotta da una voce compassata proveniente da un angolo in ombra del patio. «Continua ad applicare l'unguento.»

«Giun!» gridò Taur con letizia.

Tutti i cuniatori si accorsero della sua presenza e interruppero l'addestramento. Taur fu inondato dai loro sorrisi, mentre lo sguardo provocatorio di Friso sembrava annunciare una nuova sfida.

«Continuate!» urlò severamente Eolfo per interrompere quel brevissimo momento di pausa.

Giun era seduto a terra, spalle al muro, guardando dritto avanti a sé.

Taur gli si avvicinò. «È merito tuo se sono già in piedi. Come posso ringraziarti?»

«Non devi. Avresti fatto lo stesso per me.»

«Temo che non sarei stato capace di creare un unguento per medicarti.»

«Avresti fatto comunque del tuo meglio.»

Guardandolo ora, Taur non sentiva più quel sentimento di avversione che in passato aveva percepito dalla sua presenza nonostante il suo tono di voce glaciale continuasse ad avere un nonsoché di sinistro.

I suoi occhi erano fissi su un punto imprecisato dell'alto muro di pietra che recintava il campo dove non si poteva scorgere nulla che potesse destare particolare attenzione, se non una patina biancastra che macchiava il grigiore della parete. Taur socchiuse gli occhi nel tentativo di metter a fuoco quell'immagine, cercando di capire se fosse qualcosa di notabile e si rese presto conto che quelle macchie erano presenti lungo tutta la cinta. Abitava lì da circa tre anni e mai si era soffermato su quella moltitudine di aloni e striature bianche che infestavano la pietra muraria nel campo. Rimase in contemplazione per un po', riflettendo su quanta poca attenzione avesse dato a quei dettagli insignificanti così come non aveva mai tenuto conto delle erbacce che crescevano spontaneamente intorno a lui. La sua mente era oltremodo consumata dalle competizioni dei giochi e dalla spietata vita della luclea per accorgersene. Gli sembrò quindi straordinario che quell'uomo che gli era seduto accanto fosse dotato di una tale curiosità e di uno spirito di osservazione così acuto da notare tutte quelle semplici piccolezze che ornavano l'ambiente quotidiano.

Giacché la fermezza di Giun divenne tale da fargli dubitare che stessero notando le stesse cose, il torantiano provò a sondarlo con domande sulle striature del muro. Egli rispose lapidario, attribuendo quel fenomeno alla salsedine. A mano a mano che Taur si fece più audace, ammettendo la sua ignoranza, Giun ebbe premura nel spiegargli tutto ciò che andava chiedendo. Ribatteva nel modo più coinciso possibile, ma mai si fece sfuggevole o finse di non capire.

Il sentiero del dragoWhere stories live. Discover now