21 - INCONTRI IMPREVISTI (2)

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Il sonno era inquieto.

Sentiva un pulsare, ritmico e caldo provenire dalle gambe e un respiro caldo che sapeva di marcio, riempirgli le narici. Era sudato. Voleva muoversi ma scoprì di non potere; qualcosa lo bloccava. Un suono roco disturbava la quiete della stanza, gli penetrava nel cervello e gli faceva male. Voleva disperatamente aprire gli occhi, ma sentiva una forza invisibile premere sulle palpebre, come ci fosse qualcosa che gliele tenesse chiuse. Il suono aumentava, ora mischiato a qualcos'altro, una specie di lamento, pietoso e sommesso; sembrava una richiesta d'aiuto. Con uno sforzo sovrumano riuscì ad aprire appena gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con un paio di pupille, bianche e vuote, che lo fissavano, mentre da una fila di zanne scoperte, appena sotto, usciva il ringhio, continuo, rauco, mefitico. C'era qualcosa in mezzo ai denti affilati, grondanti sangue; sembrava un dito morto, completamente rosso. Capì subito cos'era, con orrore. Riuscì a sollevare di poco la testa e scorse la sua pancia, sotto il ventre dell'animale, e più giù, in mezzo alle sue gambe... solo sangue, e nient'altro. Il lupo teneva in bocca il suo pene, reciso con un morso mentre dormiva. Stranamente non sentiva dolore, ma solo vergogna. Quell'animale lo fissava ringhiando e pareva sorridere; pareva gli stesse dicendo: "Hai visto? Alla fine, ho vinto io!" Con la coda dell'occhio percepì del movimento a fianco del letto e vide gli altri lupi, seduti come normali cani da casa che mangiavano. Ma cosa? Cos'è che sbranavano con tanta avidità? Con terrore crescente si accorse che si cibavano di un cadavere umano, nudo, una donna. Uno dei lupi stava rosicchiando la testa, staccata dal corpo; la girò tra le zampe e Alberto intravide due occhi azzurri e spenti e una bocca dalla quale sporgevano quattro incisivi appena più grandi del normale. Urlò e cercò di scacciare il lupo, ma quello gli bloccava le spalle con gli artigli e ululò, imitato subito da tutti gli altri. Alberto chiuse gli occhi, sommerso dal dolore che quel suono penetrante gli procurava, poi spalancò nuovamente gli occhi...

Era disteso sul letto, nudo, fradicio di sudore. Il lenzuolo era scivolato a terra. Si guardò attorno per un minuto prima di accettare che era stato solo un terribile e disgustoso incubo. Aveva il cuore che batteva all'impazzata e gli ci volle almeno un minuto per calmarsi. Dalla finestra, lasciata aperta, entrava una pallida luce e una frizzante aria mattutina. Inspirò a pieni polmoni e una leggera pelle d'oca gli fece rizzare i peli delle braccia e delle gambe; si chiedeva se fosse l'effetto dell'aria fredda sulla pelle sudata o i residui di terrore incussi dall'incubo, terribilmente reale. Aveva ancora nel naso quel nauseabondo odore di putrefazione, si sentiva ancora addosso l'alito caldo della bestia e il senso di vergogna albergava ancora nei suoi sensi. Sollevò la testa e si guardò in mezzo alle gambe constatando che era tutto a posto (aveva la vescica che stava scoppiando, quindi l'aveva già capito!), ma, senza motivo, aveva recuperato il lenzuolo, coprendosi e sentendosi subito più a suo agio. Aveva assoluto bisogno di un bagno, sia per fare una doccia, sia per fare pipì. Inoltre, gli serviva assolutamente un orologio! Si ricordò che Francesca ne teneva uno nel comodino, regalo dello zio per la prima Comunione. Lo trovò, funzionante, che indicava le 6.25. Se lo infilò, ricordandosi solo in quel momento che aveva anche il cellulare datogli da Franco. «Si può solo leggere l'orario!» aveva detto. Con l'orologio al polso le sensazioni di disagio si attenuarono subito, come risucchiate via dal contatto reale con qualcosa appartenuto a Francesca. Alberto sapeva che era solo una semplice ma potente suggestione, ma gli piaceva credere ci fosse anche un pizzico di irrealtà in tutta quella situazione, come se quell'orologio fosse imbevuto dell'amore che entrambi provavano reciprocamente e riuscisse, come un amuleto, a scacciare via i pensieri cattivi. Sorrise, consapevole però che, dopotutto, l'amore è una potente magia.

Si alzò, tendendo l'orecchio verso l'ufficio. Tutto taceva. Con l'orecchio poggiato alla porta, lo sguardo cadde sul muro sopra il letto, dove c'era appesa una grande stampa raffigurante un branco di lupi che correva in mezzo alla neve. Fu come se ricevesse una delle bastonate di Masi; fissava intensamente il lupo che correva davanti a tutti e il terrore s'insinuò in ogni sua fibra. Per quale assurdo motivo Francesca aveva la fotografia di quelle bestiacce, che già tre volte avevano tentato di ucciderlo, appesa al muro sopra al suo letto? Avrebbe dovuto provare curiosità in quel momento, ma si accorse di provare solo semplice e pura paura. Finalmente aveva capito da dove veniva la sensazione di dejà vu che provava tutte le volte che vedeva quella bestiaccia!

VuEffe (parte 3) - I tormentiWhere stories live. Discover now