28 - UNA PIOGGIA DI DOLORE (2)

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«Zio, è entrato! Cos'hai da sorridere?» Francesca fissava spaventata il monitor che mostrava un Masi dallo sguardo più indurito del solito, fermo sulla soglia della baita, guardarsi intorno, coi pugni stretti e la bocca deformata in quel che sembrava un ringhio. Ogni tanto si voltava e vedeva Franco de Simone che armeggiava al tavolo sulla stessa tastiera usata per attivare il "Recinto". Un piccolo sorriso gli si era disegnato sulle labbra e si rifletteva anche dentro agli occhi che guizzavano dietro alle piccole lenti tonde dei suoi occhiali.

«I nostri amici ci hanno appena regalato un'arma. Forse un'arma molto potente. E stai tranquilla. Non sa che siamo nascosti qui. E nel caso, potrebbe arrivarci solo volando. Ismel gli ha dato dei poteri, ma non quello di volare.» Parlava, mentre continuava incessantemente a battere i tasti.

«Come fai a dirlo?»

«Sono arrivati per il sentiero, cara. Se sapessero volare, non perderebbero certo tempo a camminare!»

Francesca si avvicinò, affascinata nel vedere quelle vecchie dita correre così agilmente sui tasti. Sembrava quasi che la presenza di una tastiera sotto a quelle mani grinzose facesse scordar loro l'età e gli acciacchi che le tormentavano. Quando era bambina stava interi pomeriggi seduta a fianco dello zio mentre lavorava, incantata dalle sue mani (che lei paragonava a quelle di un pianista), dal rumore dei tasti pressoché continuo e dallo schermo che si riempiva sempre più di strani simboli, strane parole, strani disegni, a lei completamente sconosciuti e di cui non chiedeva nessuna spiegazione, fedele al patto che aveva stretto con Franco. «Quando lavoro ho bisogno della massima concentrazione. Puoi restare, ma non devi parlare.»

Adesso non era presente nessuno schermo. Lo zio batteva, scriveva, scriveva e batteva, chissà cosa, chissà dove.

«Come fai a sapere cosa stai scrivendo?» chiese, sicura che dopo così tanti anni il patto fosse ormai decaduto.

«Non sto scrivendo, cara.» rispose Franco, senza distogliere lo sguardo dal tubo argentato davanti a lui. «Sto inviando codici DeSi all'antenna stellare usando un linguaggio quaternario...» si bloccò e guardò la nipote, sorridendo. Lei ricambiò il sorriso. «Scusa! Sai che, quando sono troppo concentrato...»

«Lo so, zio!»

«Sto dicendo all'antenna, qua sopra, di fare delle cose. Meglio così?»

«Cosa, se posso chiedere?»

«Devi chiedere!» disse, con gli occhi che brillavano. «Scagliandosi contro il "Recinto", quell'uomo...»

«René.»

«Lui! Scagliandosi contro il "Recinto", dicevo, ha condiviso con la nostra antenna l'energia che possedeva. È uno dei tanti lavoretti che ho fatto in questi ultimi anni di preparazione alla venuta di... Ismel.» Cominciava a fare piuttosto fatica nel pronunciare quel nome. «Ho sfruttato degli studi molto interessanti che ho fatto da giovane sull'assorbimento dell'energia e sono riuscito ad applicarli alla mia figlioccia, qui in alto.» Riprese a digitare col sorriso sempre più largo. Rimase in silenzio per circa un minuto. «E voilà!» disse infine. Una piccola porzione rettangolare del tubo scorse all'interno, a mo' di piccolo sportello, rivelando uno scomparto. «Cara, ti prego...» Sollevò una piccola porzione del tavolo circolare, in modo che lei potesse passare. Francesca si avvicinò e allungò la mano, recuperando una specie di piccola e all'apparenza semplice pistola bianca, composta da un grilletto e da un'impugnatura che spariva, al di sopra, dentro a una sorta di cassa orizzontale che sostituiva cane e tamburo. Da questa usciva la canna, lunga circa dieci centimetri.

«Ecco la nostra arma!»

«Mi stai dicendo che questa pistoletta spara gli stessi raggi che sparano loro?»

VuEffe (parte 3) - I tormentiWhere stories live. Discover now