27 - SAMARCANDA (2)

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Convincere Monica ad andare alla villa fu un'impresa ardua, com'era sempre, ogniqualvolta Franco le ordinava di fare qualcosa che comportasse l'allontanamento da lui. Questa volta, oltre alle solite motivazioni mediche, c'era la grande paura per l'annunciato (da Francesca) arrivo di Masi e René, tanto che, la solita discussione era sfociata in un attimo in una vera e propria litigata.

«Qui siamo al sicuro, Monica. Nel caso arrivassero, attivo subito il "Recinto", e se anche dovessero entrare potrebbero impiegare ore a trovarci. Quassù ci si arriva solo con questa...» diceva, sventolando la chiave fatta a cilindro che apriva le porte dell'ascensore. «Inoltre c'è mia nipote ad accudirmi...»

Monica rimbalzava da un lato all'altro della torre, come una tigre alienata in gabbia. «Non se ne parla nemmeno! Quei due sono pericolosi e poi te mi dici che adesso sono anche potenziati!» Si era rivolta a Francesca. «Ci barrichiamo e ci difendiamo. Avete bisogno di me.»

«Monica... Se quella gente arriva alla villa come fanno ad avvisarci e a raggiungerci? Tra loro c'è uno scrigno... No, no. Devi andare là ad aspettarli e portarli qui.»

«Non preoccuparti.» era intervenuta Francesca. «Ci penso io a mio zio. Li ho fregati già una volta...»

«Qui non c'è la tua lupa!» era sbottata la donna, interrompendola. «Tu non conosci i meccanismi di difesa dell'FDS, io sì. Devo rimanere qui e...»

«Monica, basta!» Franco aveva assunto nuovamente la sua espressione autoritaria che ancora si appiccicava bene sul suo volto, nonostante l'avanzare impetuoso degli anni. «Devi andare! È fondamentale. Sapremo difenderci anche senza di te.»

«Conosco anch'io i segreti dell'FDS. Lo zio mi ha fatto vedere tutto, quando ero ragazzina.» aveva detto Francesca, mentre affiorava in lei un senso di dolorosa pena verso Monica.

Il donnone li aveva squadrati entrambi, con le lacrime agli occhi e un'espressione di chi sapeva da subito come si sarebbe conclusa quella discussione. «Va bene.» aveva strascicato. Si era diretta verso l'ascensore, mugugnando. «Mi preparo la borsa e parto.»

«Monica...» aveva provato a dire Franco.

«Ci vediamo al mio ritorno.» Fredda e col viso all'opposto di come era solitamente, aveva atteso l'apertura delle porte, raggiunta all'istante da Francesca.

«Ti aiuto!» le aveva detto ed era entrata con lei, prima che potesse abbozzare qualsiasi protesta.

Erano rimaste in silenzio per un po', poi Francesca aveva parlato per prima. «Non devi preoccuparti, Monica. Andrà tutto bene!»

«Non... dirlo!» La sua maschera era rabbiosa, disperata. Non l'aveva mai vista così. «È la frase più stupida del mondo! La detesto.»

«Era solo per...»

«Non puoi sapere come andrà! Nessuno può. E senza di me siete più deboli.» Francesca era rimasta in silenzio, incapace, nonostante tutto, di contraddirla. «Comprendo l'importanza di ciò che mi ha ordinato di fare, e lo farò, ma se dovesse succedere qualcosa mentre io non ci sono, non potrei mai perdonarmelo. E questo mi fa ancora più arrabbiare! Mi sentirei in colpa per aver eseguito un ordine!» aveva concluso. Ancora una volta Francesca non era riuscita a trovare nemmeno una parola da dire e aveva capito la sofferenza che stava provando quella donna.

Dieci minuti dopo Franco fissava il treno partire, con una punta di tristezza che lo accompagnava; odiava litigare con Monica, odiava darle degli ordini e odiava averla lontana. Quando lei non era con lui si sentiva esposto, doveva ammetterlo. Ma, d'altro canto, voleva quella gente all'FDS, o, per essere sinceri, voleva lo scrigno. Il primo, sperava, di nove.

Francesca rientrò nella baita proprio nel momento in cui uno dei tanti monitor intorno a lui cominciò a emettere un segnale acustico, lampeggiando. Franco, faticando con la carrozzella, si avvicinò e premette un pulsante. Sullo schermo apparvero le immagini di due uomini che conosceva molto bene. Il cuore gli sprofondò fino alle caviglie e le parole di Monica cominciarono a rimbombargli nelle orecchie. Erano arrivati nel preciso istante in cui lei era partita. Se era una coincidenza (e non vedeva come non potesse essere altrimenti), era veramente assurda! Si girò e si accostò al tavolo cominciando a digitare freneticamente sulla tastiera. L'antenna, sopra la sua testa, cominciò a girare su sé stessa e, in meno di un minuto, l'intera struttura era protetta da un reticolato a impulsi elettrici, quello che lui aveva sempre chiamato il "Recinto".

VuEffe (parte 3) - I tormentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora