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Periferia di Kinshasa, Nuova Repubblica dello Zaire, 21 Dicembre 2089

Il pomeriggio afoso era appena iniziato.
In strada il vociare incessante della gente era opprimente quasi quanto il caldo. Asu non lo sopportava più come quando era giovane. Così come non sopportava più l'angusto cubicolo in cui si era ritrovato a vivere. Avrebbe preferito di gran lunga tornare nella sua antica capanna tribale, nel suo villaggio strozzato dalla sete, piuttosto che soffrirla anche lì fra quattro strette mura calcinate.
Il minipad poggiato in terra sembrava assolutamente anacronistico nella polvere, abbandonato vicino al suo pagliericcio sporco. Non sopportava più neppure quello. Si domandava come diavolo facesse a funzionare ancora, perché mai non usassero l'energia sprecata lì per qualcosa di più utile.
Pensare che ne era stato orgogliosissimo quando l'aveva trovato nell'immondizia e l'aveva faticosamente riparato, sudando e imprecando per settimane, finché non era diventato lo zimbello di tutta la comunità.
Tutti parlavano con ironia di Asu Mulonga lo scienziato svitato e il suo Piccolo Mostro Meccanico che amava più di un figlio. Ma poi si erano dovuti ricredere quando, un giorno, dopo un'ultima maledizione agli antenati dell'apparecchio, quello aveva preso a funzionare con il suo brillante monitor acceso e pronto all'uso.
Asu aveva quindi fatto carte false per trovare qualche cavo di connessione sotterraneo e, quando finalmente riuscì nel suo intento, non ci fu giorno in cui la sua casa non fosse piena di curiosi, vicini, ammiratori.
Studiare elettrotecnica era servito a qualcosa, in fin dei conti.
Certo, la cosa gli aveva impedito di sposarsi, ma l'aveva ritenuta una mancanza trascurabile visto che, per un lungo periodo, era andato persino a lavorare in Europa. La donna che desiderava per moglie aveva promesso di aspettarlo, ma quando tornò lei si era già sposata e aveva persino avuto un figlio, contro le imposizioni di tutti i suoi parenti. Quella era stata insieme una delusione e un'offesa gravissima. Non aveva voluto nessun'altra da quel momento in poi, anche se c'erano state diverse sue "amiche" che avevano trovato attraente la sua aria così moderna, europea, colta.
Ma erano altri tempi.
Ora anche l'occidente non se la passava così bene, ed essere qui o lì, bianco o nero, non importava poi molto. Provava uno schifo istintivo, una diffidenza quasi animale verso quel modo di vivere. Lasciarlo non gli sarebbe pesato poi molto.
Non erano rimasti molti posti come quelli che ricordava e in cui era cresciuto, da nessuna parte, per quel che ne sapeva. Ma ora aveva più di ottant'anni e non si sarebbe mai più mosso, nossignore.
Tanto non aveva più importanza. Lui era inutile, come tanti altri.
Avrebbe fatto il suo ultimo viaggio seduto in terra, da solo.
Prese dalla sua bisaccia consunta una bottiglietta di vetro piena di un liquido insapore. Gli sarebbe servita più tardi. Ristette immobile, a occhi chiusi, e levò una voce arrochita, priva di grazia, nell'unico canto a Dio che ancora ricordava.
Gli affidò quel mondo così scuro e ingrato che non aveva voluto dargli neppure una moglie.
Aspettava il momento, quando la sua anima glielo avrebbe imposto.
Poi avrebbe bevuto.

Lo schermo del minipad brillava.

L'ultimo dono possibileWhere stories live. Discover now