Capitolo 3: Graffiti

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A causa di Teresa e di quei due idioti, decisi che avrei saltato scuola il giorno dopo. 

Per non annoiarmi a morte, visto il buon tempo, optai per una gita nella città. Dopo aver fatto una colazione a base di cappuccino e cornetto al cioccolato, in un bar vicino casa, andai alla stazione Laurentina. 

Sapevo che prima o poi avrei dovuto vedere di nuovo Teresa e Asha, ma avevo bisogno di prendermi del tempo per prepararmi.

Teresa non avrebbe mai gettato la spugna senza prima scoprire tutto ciò che riguardava me e Asha. Prima o poi avrei dovuto raccontarle tutto, ma avevo bisogno di tempo e svago. 

Non avevo un posto in particolare che volevo visitare, perciò mi fermai dove vivevo anni prima, cioè al Rione Monti. Dopo essere sceso a via Cavour, andai a zonzo con passo lento.

Il clima mite e l'assenza di vento resero la mia scampagnata piacevole e invidiabile, nonostante il rumore dei clacson delle macchine e di qualche martello pneumatico.

Nonostante fossero passati anni, non ebbi problemi a orientarmi. Erano cambiate alcune cose come alcune case ristrutturate e qualche piccolo nuovo negozio, ma tutto sommato il posto conservava la sua aria familiare.

Dopo circa mezz'ora, passata a immergermi nei ricordi della mia infanzia mentre guardavo le case e i monumenti, mi soffermai su alcuni graffiti, disegnati su un muro color ocra di una casa malmessa. 

I colori usati, insieme allo stile e al disegno, mi fecero pensare a una ragazza che non vedevo da anni. 

"Non può essere lei!" pensai, senza distogliere lo sguardo dal graffito.

Rimasi così assorto a osservare quell'opera che non mi resi conto che alle mie spalle ci fosse qualcuno e quando mi sentii posare delle mani sugli occhi il mio cuore mancò un battito. 

«Indovina chi sono?» chiese la ragazza con voce bassa e rauca. 

«Giulia?» domandai sorpreso.

Pochi secondi dopo, la ragazza dietro di me rise di gusto.

«Indovinato, cuginetto» disse Giulia, per poi ridarmi la vista.

«Questi sono opera tua, vero?» chiesi con espressione accigliata, per poi voltarmi.⁷

Giulia, con un piccolo sorriso e con le sue mani aggraziate sulle mie guance, si avvicinò in punta di piedi e con estrema lentezza al mio volto, per poi rispondermi con: «Indovinato! Hai vinto un bacetto dalla tua cugina preferita.»

Fu un bacio sulla fronte. Una stupida abitudine che aveva creato all'età di dodici anni quando passavamo del tempo insieme. 

Da allora era cresciuta di diversi centimetri, fino ad arrivare a un metro e settanta, anche i suoi capelli rossi ramati erano cresciuti e tenuti liberi, il viso a cuore privo di nei o brufoli era sbocciato in tutta la sua bellezza, solo gli occhi color giada erano rimasti gli stessi. 

«Non ti smentisci mai» affermai seccato, mentre con una mano mi strofinavo la fronte e arretravo. 

«Neanche tu sembri essere cambiato, oramai siamo quasi alla stessa altezza.»

«Ma sei cieca? Sono un metro e settantotto!» ribattei irritato.

«Non dovresti essere così acido verso di me, ci sono molti ragazzi che pagherebbero per un mio bacio» rispose Giulia con le mani dietro la schiena.

«Ci credo, magari lo hanno già fatto» controbattei con strafottenza. 

«Ma cosa? No!» affermò fingendosi offesa.

Filo rosso d'inchiostro [Prima stesura]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora