Capitolo 10: Un compleanno in arrivo

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Nonostante fossi preoccupato per quello che avevo visto, scelsi di non chiamare Giulia e nemmeno di parlarne con mia madre.

Una miriade di domande catturarono la mia attenzione per i giorni seguenti, senza lasciarmi la possibilità di badare ad altro, nemmeno verso il mio compleanno. 

«Per il tuo compleanno che intenzioni hai?» domandò Teresa poggiata al muro vicino al mio banco, mentre si sgranchiva le mani.

«Cosa? Io... è vero, non ci ho proprio pensato negli ultimi giorni» affermai con la testa poggiata sulla mano. 

Con espressione irritata e con le mani sui fianchi, Teresa mi suggerì:

«Forse dovresti invitare le poche persone che ti sono vicine, come me e Asha»

Colpito dal suo suggerimento, scivolai risentito sul banco in modo brusco. 

«Non credo sia gentile farsi invitare con la forza ai compleanni altrui» commentò Asha, mentre disegnava un cuore circondato da fiamme.

«Eh? Forza? Ti sbagli di grosso, ho solo dato un suggerimento» rispose offesa la corvina.

Dopo aver sospirato con espressione triste Asha affermò: «Comunque, non credo sia una buona idea che io venga, dati i nostri trascorsi.» 

Era vero. Non ebbi il coraggio di darle ragione, perciò mi trincerai in un silenzio che venne rotto solo dal rumore sordo delle mani di Teresa che batterono sul mio banco.

«Maledizione! Cosa ti è preso?» 

«Credevo che le cose fossero sistemate» disse Teresa sottovoce.

«Sei impazzita?» domandò Alessio irritato.

«Teresa vedi di non far casino» la ammonì il capoclasse serio, senza neanche guardare verso di noi.

«Fatevi gli affari vostri!» intimò Teresa acida.

«Teresa è meglio se ne parliamo fuori» suggerii pacato con gli occhi fissi nei suoi.

«Si può sapere perché c'è tutto questo baccano?» domandò il professore Brozzi infuriato, mentre con rapide falcate si stava dirigendo alla cattedra.

Non bastarono le scuse, per salvare Teresa da una correzione sulla lavagna degli esercizi dati per casa.

Lo sguardo inquisitore, le braccia conserte e la vicinanza tra la cattedra e la lavagna, resero il lavoro di Teresa un vero calvario per lei. Provai un' immensa pena per la povera malcapitata, ma non potei fare altro che stare a guardare. 

Grazie a qualche forza divina, Teresa venne salvata dall'arrivo della vicepreside, una donna alta quanto un barile e dai modi bruschi e sbrigativi. 

Dopo aver fatto un freddo saluto alla classe, tempestò di domande il professore.

Non ne sono sicuro, ma credo che il poveretto dovette rispondere come minimo a una trentina di quesiti e almeno la metà era su possibili cambi di orario. La classe rimase muta per tutta la durata di quello spettacolo.

Fu la prima volta che provai pena per quell'uomo, al contrario Teresa sembrò al settimo cielo.

Al suono della campanella, l'uomo con faccia esausta e abbattuta se ne andò a passo lento accompagnato dalla vicepreside, che imperversò nella sua tortura. 

«Quella donna merita una statua» asserì Teresa piena di gioia.

«Dire che ti è andata bene è riduttivo. Dopo nemmeno cinque minuti che eri alla lavagna è arrivata quella pazza a fare domande a raffica. È una cosa che capita una volta sola nella vita» commentò il capoclasse annoiato, mentre si puliva gli occhiali.

Filo rosso d'inchiostro [Prima stesura]Où les histoires vivent. Découvrez maintenant