Capitolo 22

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Noah

Il dolore si era trasformato in disperazione e la disperazione, alla fine, in rabbia. Il tutto in quasi meno di ventiquattr'ore. Un cambio emotivo così forte ed improvviso Noah non lo ricordava dall'adolescenza.
La rabbia che provava era come combustibile e lui prendeva fuoco. Un incendio continuo che era un monito di quanto le cose potessero precipitare in poche ore.

Dopo il matrimonio era andato a casa di Mike e si era attaccato ad una bottiglia di Gin alle dieci del mattino. Mike e Travis erano rimasti con lui, non avevano parlato per la prima ora, riempiendo il bicchiere e lanciandosi sguardi preoccupati.

Nient'altro.

Quando aveva rivisto Lizzie la mattina dopo quella notte insonne, era entrata nel suo cuore come una pugnalata, e lui aveva avuto una difficoltà enorme a riuscire ad elaborare i pensieri che lo avevano tenuto sveglio per ore. Poi la rabbia gli aveva ricordato quella miccia accesa dentro di lui, ed aveva preso le distanze. Andarsene, quel giorno, era stata una delle cose più difficili di sempre.

La mattina si era svegliato con un gran mal di testa, ed era stato difficile concentrarsi al lavoro con i pazienti, e con Kevin che continuava a spronarlo a rispondere a quell'offerta di lavoro ricevuta durante il convegno. Avrebbe dovuto prendere una decisione entro pochi giorni.

Per liberarsi di tutto quel peso, aveva deciso di prendere la macchina per dirigersi nell'unico posto dove, da sempre, i pensieri avevano trovato la loro via quando lui vedeva solo nebbia.

Si trovava sul campo di allenamento di lacrosse dove, solitamente, giocava con gli amici mentre il sole scendeva dietro i grattacieli di New York ed il silenzio assordante gli mozzava nuovamente il respiro. Aveva indosso la divisa con il casco, più per abitudine che per una vera ragione, e guardava la porta davanti a lui mentre prendeva un'altro pallina e la incastrava nella rete del bastone. Tirò contro la rete a qualche metro di distanza ed osservò per l'ennesima volta quel pomeriggio la pallina che fendeva l'aria e poi cadeva con un piccolo tonfo.

Ogni pallina che tirava era un ricordo.

Il messaggio.

Un tiro.

Lizzie dormiva beata.

Un tiro.

Lui che tornava a casa e lei da sola con gli amici.

Due tiri.

Il fiato corto gli disse di smetterla, che aveva spinto anche quel giorno il suo corpo al massimo. Veniva da una sessione di corsa intensa, seguita da addominali e trazioni alla sbarra. I muscoli tiravano, ma nel piacere dell'esercizio fisico qualcosa dentro di lui si risvegliava e non voleva lasciarla andare. Si sentiva vivo. Riusciva a domare il fuoco della rabbia.

Fece cinque tiri consecutivi, liberando la frustrazione in un urlo.

Lizzie che era sparita. Lui che era sparito.

La storia che pensava di star vivendo crollata come un delicato castello di carte. Spazzata via.

Si tolse il casco, la fronte imperlata di sudore fu finalmente libera da quella costrizione, e restò fermo sul campo a fissare ciò che aveva lasciato.

Percepì il silenzio, e nella sua mente ci fu solo il pensiero di Lizzie e quel Marco, stretti chissà quante volte mentre scopavano in quei giorni lontani.

Lanciò il casco che aveva in mano con una forza che lo spinse fino alla porta e crollò poi sulle ginocchia. Sentì gli occhi umidi e le lacrime scendere lungo le guance.

«Hai finito di prenderla con la tua divisa?», la voce di Travis lo riscosse dai suoi pensieri. Quando alzò lo sguardo, il suo migliore amico comparve nel suo campo visivo con i capelli scompigliati e un sorriso comprensivo. Era cambiato tanto in quegli anni, il dolore e la colpa lo avevano come forgiato per renderlo un ragazzo diverso, più forte quanto più cupo. Travis, però, per lui aveva sempre sorriso.

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