Capitolo VI - Learco

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Sua Signoria Elderico rilesse la lettera poi la porse al Venerabile Learco.

«Che ne pensate?»

Brontolando contro il freddo e sistemandosi gli occhiali sul naso, Learco si avvicinò alla finestra per avere maggiore luce. Elderico attese in silenzio, guardandolo giocherellare assorto con la pipa e sbuffare il fumo una tirata dopo l'altra.

«Direi che è una calata di braghe molto diplomatica» borbottò Learco continuando a scorrerla. Sua Signoria era abituato ai modi del vecchio sapiente e non replicò. Pose invece attenzione all'ombra che si agitava nei chiari occhi acquosi.

«Qualcosa non va?»

«La mia schiena che mi fa dannare, per esempio» mugugnò Learco con la pipa stretta tra i denti. «In questo momento però, pensavo all'uso delle parole.»

«Siamo in tempo a riscriverla.»

«Non di questa lettera, ma di quella di Sua Eminenza. Continuo a domandarmi come mai abbia voluto usare la parola "necromante". Ho sempre avuto una certa stima, se non nel Sacro Ufficio, nella persona di Vittorio di Alamena. I necromanti sono figure da fiaba nera, non ha senso farne menzione in una missiva a meno che uno non voglia farsi ridere dietro.»

«In effetti ce ne siamo stupiti tutti.»

«Per questo continuo a pensare alla scelta delle parole. Continuo a ritenere Sua Eminenza un uomo brillante e non credo che abbia scelto il termine a caso.»

«Che intendete dire?»

Il venerabile Learco si dedicò pensieroso alla pipa mentre Sua Signoria chiudeva la lettera, ammorbidiva la ceralacca sulla candela e sigillava la missiva imprimendovi lo stemma di Roccacorva.

«Learco?»

«Intendo dire che Vittorio di Alamena non racconta fiabe, parla di un pericolo reale.»

«Due giorni fa avete esortato Madre Lucrezia a non credere alle favole. Vi state ricredendo?»

«Madre Lucrezia è un'adorabile credulona. Sono ancora convinto che non dovremo combattere un esercito di morti, ma nel corso della mia lunga vita ho assistito a un sufficiente numero di stranezze da non escludere a priori l'esistenza di qualcosa che non ho ancora visto. Il Sacro Ufficio ha ucciso molti innocenti dalla sua fondazione, bruciato molte streghe che non avevano più magia di un prestigiatore alla fiera, ma alcune volte ha affrontato esseri realmente straordinari, e non con l'accezione positiva che si dà generalmente al termine, anzi, tutto il contrario.»

Il discorso fu interrotto dal discreto bussare del Castellano, venuto a ritirare la missiva da inviare a Varona. Elderico lo fece entrare, Manfredo prese la missiva dalle mani di Sua Signoria, ma indugiò nel ritirarsi. Era evidente il suo desiderio di essere ammesso a quel consesso da cui era stato escluso.

«Potete andare Manfredo» lo congedò invece Elderico.

«Sì, va' pure Manfredo» rincarò Learco, esortando la sua uscita con un gesto della mano. Si dilettava nel solleticare la gelosia del Castellano per la considerazione che Elderico aveva per lui. Lo sguardo arcigno e l'aria impettita con cui gli volse le spalle salutando rigidamente riuscì a farlo sorridere. A un povero vecchio restavano così pochi piaceri nella vita.

«Mi stavate parlando della natura della minaccia da cui Sua Eminenza ci ha messo in guardia» lo invitò a proseguire Elderico.

«Giusto» convenne distratto Learco, pensando ancora all'espressione offesa di Manfredo e armeggiando con la pipa per riaccenderla. Borbottò qualche imprecazione contro il tabacco troppo umido e poi tirò una lunga boccata assaporando il gusto del fumo, lasciando Elderico nel silenzio.

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