Vita da caserma

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La mattina, dopo la sveglia, alzabandiera e colazione, ci si recava tutti inquadrati alle proprie aule per seguire le lezioni. Non avevano esaudito la mia richiesta di studiare fotografia, e a causa del mio diploma di liceo scientifico venni selezionato per far parte del servizio sanitario.

All'inizio presi male quest'assegnazione, e feci di tutto per cambiare categoria, poi però iniziando a studiare mi resi conto che in fondo la materia mi piaceva: al liceo ad esempio adoravo l'anatomia. Così ritirai la domanda di rinuncia e rimasi nella sanità, tra l'altro si diceva che se fossi stato assegnato alla fine del corso in qualche località lontana da Roma, comunque sarei tornato nella città eterna per almeno due anni a completare gli studi sanitari. Dopo le lezioni ci si recava a mensa per il pranzo, studio pomeridiano, e prima di cena mezz'ora ricreativa dove era possibile accedere alle sale giochi o fare telefonate ai propri cari. Dopo la cena, ammainabandiera, ritorno alle camerate e così finiva la giornata. Tutti i giorni sempre la stessa vita, che veniva solo movimentata dai vari servizi di giornata o armati che intercalavano le operazioni. 

L'istruzione oltre ai servizi, prevedeva ore e ore di istruzione di marcia formale, sport con un notevole sforzo fisico, non correlato però ad un adeguata alimentazione. Ero esausto perché la razione alimentare per me non era sufficiente e dimagrivo a vista d'occhio. Quando alla fine dei dieci giorni di prova mi permisero di uscire e i miei genitori vennero a trovarmi, mio padre mi portò una scatola colma di tavolette di cioccolata fondente. Non credevo ai miei occhi: fu la mia salvezza! Un ottimo integratore per la carente razione alimentare.

Ben presto cominciai ad abituarmi a quella vita, e farmi delle amicizie, di quelle vere, che anche se poi non ti vedi più, rimarranno sempre nel tuo cuore pronte a rifiorire. Ogni due settimane se non impegnati in servizi di caserma si poteva ora uscire, ovviamente rigorosamente in divisa.

Con il mio solito gruppo di amici cominciammo a conoscere Caserta, che a quei tempi era chiamata "la città militare", per la presenza di numerose caserme e scuole militari sul suo territorio. In effetti durante l'orario delle libere uscite questa città si popolava di uniformi multicolore che pullulavano ovunque. Quell'orario era il momento che dava inizio al coprifuoco delle ragazze locali che erano state "addestrate" anch'esse, ma a girare al largo dai soldati. I loro genitori inculcavano nelle loro teste che innamorarsi di un soldato era pericoloso, perché erano solo in transito presso le scuole e poi sarebbero partiti. Praticamente con la divisa indosso e la diffidenza delle ragazze locali, era praticamente impossibile ogni tipo di approccio. Alla fine, ci ritrovavamo a frequentare sale gioco e ristoranti per militari di scarsa qualità, creati appositamente per i militari delle scuole: una bella fonte di guadagno per i locali. 


L'amico del cuore

La vita in ambienti coatti e difficili amplifica la nostra recettività alle emozioni; amplifica le nostre caratteristiche caratteriali e soprattutto, aumenta a dismisura la nostra predisposizione ad aggrapparci ad una vera amicizia.

È così che nacque l'amicizia con Luca, un ragazzo come me, gentile, disponibile predisposto alla risata, con il quale trovavo una sintonia quasi unica. Amava prendere in giro ma sempre senza offendere, come quando scherzava con Stefano, ragazzo molto introverso, che aveva interrotto gli studi di Medicina per arruolarsi. Alla fine, si usciva tutti insieme in libera uscita, sempre di pomeriggio, con Luca, Stefano e Peppe, il più piccolo della comitiva, ma anche il più vivace, aveva solo 17 anni e anche lui ci andava giù pesante con Stefano, nonostante i quasi 7 anni di differenza.

«A Ste' e basta con questi libri, e guarda che gnocche lì!» Lo provocava durante uno dei monologhi culturali di Stefano mentre si passeggiava lungo il corso di Caserta.

«Oh ma sei sempre il solito, quelle neanche ti guardano» ribatteva.

Tutti e quattro quando eravamo partiti per frequentare la Scuola non eravamo fidanzati, e questo per noi era un vantaggio perché vivevamo la scuola e le nostre libere uscite in totale spensieratezza. Mi ricordo invece che tutti i colleghi che erano fidanzati e che ancor peggio si erano arruolati per trovare una sistemazione e sposarsi, vivevano malissimo la naia. La lontananza dalle loro ragazze invece di risolvere la loro vita in meglio, determinava al contrario in molti di loro la fine di storie d'amore che duravano da anni. Da questo punto di vista io ero felicissimo di non essere coinvolto emotivamente, perché per me sarebbe stato struggente.

Unica consolazione di quella vita, insomma, grazie alle mille attività e alla possibilità di pensare uguale a zero, era che trascorreva tutto velocemente. Così passavano le giornate, e presto, superato l'inverno, arrivò la primavera e si iniziò ad uscire anche in abiti civili, a turno però, perché doveva comunque esserci una rappresentanza militare visibile in città. Annoiati da quella città, e finalmente mimetizzati dagli abiti civili, con Luca cominciai a girare nei paesi limitrofi.

Cominciammo a prendere il treno e un giorno approdammo a S. Antimo, un paesino nell'hinterland napoletano, dove appena scesi dal treno lungo il viale ci imbattemmo in un cadavere coperto da un lenzuolo appena coinvolto in un regolamento di conti locale. Fu l'ultima volta che andammo in quel paese ovviamente. Girare con Luca era molto divertente perché lui era molto disinvolto e se ci fosse stato da provarci con qualche ragazza non si sarebbe risparmiato e gli facevo da spalla.

Diventammo amici fraterni e stavamo spesso insieme.

Così passarono quasi sei mesi, fino a quel giorno in cui aprendo il diario dopo una serie di pagine bianche anonime, le successive incominciarono a colorarsi di inchiostro. E così come un raggio di luce bianco che attraversando un prisma si trasforma in molteplici raggi colorati, anche le pagine del mio diario tornarono a raccontare una vita colorata da emozioni di ogni tipo: era il "15 aprile 1989". 


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