48.Si aprono le danze

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Perché. Perché?

Perché.

«Sull'invito c'è scritto che è necessario saperlo ballare» aveva spiegato Yoann, per nulla dispiaciuto. «Dopotutto, è una festa che ricalca le tradizioni del Settecento. E questo, nel Settecento, era il ballo più diffuso...»

E fu così che ci ritrovammo a danzare – storpiare – il minuetto, chiusi in un'ampia sala vuota con il pavimento così lindo che sembrava realizzata proprio per quello scopo. Inchino, piccoli passetti piegando le ginocchia, avanzando e retrocedendo, rotazioni insieme all'altro o su me stessa. Il tutto scandito dalla grazia meticolosa e delicata che viaggiava costantemente in un binario parallelo al mio, impossibile da intersecare nei tempi e nelle modalità richieste dalla musica.

Sto rimpiangendo le lezioni di parkour.

Avrei preferito sopportare una Liss rimbrottante o una Lauren severa, piuttosto che quei: «Hai sbagliato tempo»; «Più adagio»; «L'altra gamba»; «Non quella, l'altra»; «Adagio»; «Dovevi girare nell'altro verso»; «Di nuovo il tempo»; «Adagio».

«Al prossimo adagio giuro che ti pesto un piede» sbottai, deglutendo un'imprecazione.

Yoann concluse il suo perfetto, e agiato, giro su se stesso e al suo posto parlarono gli occhioni da cucciolo che era tanto bravo a fare: «Peccato, ho dei piedi così belli, sarebbe un peccato farli soffrire, non credi?»

Roteai gli occhi. Era davvero irritante il fatto che con lui era impossibile essere irritata.

Per giunta era bravissimo, sembrava nato per ballare il minuetto. Forse il motivo era la sua passione per la musica, forse la sua statura slanciata e flessibile, o forse perché era nel suo DNA francese. Dopo i primi – ma letteralmente i primi due o tre – passi indecisi, aveva acquisito subito i movimenti e ormai il rondò di sottofondo e lui erano una cosa sola. E ovviamente si era trasformato subito in un maestrino provetto e intransigente, nei confronti di tutte e tre.

Un'altra rovinosa rotazione – oraria? Antioraria? Ormai mi girava tanto la testa che non ero neanche in grado di stabilirlo – e la danza mi fece cambiare coppia; finii con Pad, che era messa peggio di me. Quando per poco non inciampò dopo un saltino, immaginai come dovesse essere farlo con le gonne ingombranti che avremmo dovuto indossare alla festa. Per fortuna potevamo ancora goderci i pantaloni della tuta. «Ho tanti Cebrim» sbuffò la ragazza, «ma quello della danza non mi era mai neanche passato davanti alla porta di svilupparlo.»

«Non si parla, ragazze, perdete il ritmo!» ci richiamò Yoann, mentre la musica sparata dalla radio continuava, deliziosamente spietata.

Lanciai un'occhiata per vedere com'era messa Liss. Stravaccata sul davanzale di una delle ampie finestre dai tendaggi rossi translucidi, era intenta a scolarsi una bottiglietta di acqua frizzante, sputacchiandone il contenuto ogni volta che scoppiava a ridere nei momenti in cui Pad o io sbagliavamo qualche mossa.

«Liss, ti prego» continuava a richiamarla Yoann. «Devi ballare anche tu!»

«Pensi che m'importi di ballare il minuetto con gli Arkonanti? L'unico minuetto che balleranno con me sarà quello della mia lama. Voi che avete da guardare, intanto? Su, continuate.»

Liss fece per bere un altro goccio, ma dalla bottiglietta non uscì nulla. «Farðu til helvítis» borbottò, stropicciandola per poi lanciarla in un angolo. «Arrivo.»

Si diresse a passo pesante verso l'uscita, forse per andare a prendersi altra acqua. Spalancò la porta, e... dietro c'era Wala, con una mano alzata nel gesto di bussare, bloccato a metà dalla prorompenza di Liss.

CEREBRUM ~ La figlia dell'ingannoWhere stories live. Discover now