Chapter six.

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Louis

"Stan, cazzo, accosta!" avevo urlato al mio collega, stringendogli con forza la spalla per attirare la sua attenzione.

Lui aveva grugnito infastidito in risposta, liberandosi dalla mia presa con uno strattone e frenando all'improvviso.

Sull'auto calò il silenzio.

"Che cazzo vuoi?" aveva strillato, voltando il capo per riuscire a guardarmi ed incenerendomi con lo sguardo.

"Ho bisogno di scendere da questa merda di macchina" piagnucolai, aprendo la portiera alla mia destra per far confluire l'aria.

"Che ti prende ora?" mi chiese Zayn con voce flebile, accigliandosi dalla preoccupazione.

"Ho il mal d'auto" spiegai, respirando a pieni polmoni e socchiudendo gli occhi. "E credo di poter rimettere da un momento all'altro" continuai, poggiandomi una mano sullo stomaco, in preda alle fitte.

"Scendi" mi aveva ordinato Stan, puntando l'uscita con il braccio destro. "Noi facciamo il giro del quartiere e poi veniamo a riprenderti. Abbiamo seminato gli sbirri, ma chi può assicurarci che non ci trovino? Meglio stare in movimento"

Annuii una volta, saltando giù dal veicolo e richiudendo la portiera.

Il secondo successivo ero solo in piedi nel bel mezzo di un parcheggio abbandonato, illuminato dalla luce giallognola di un paio di lampioni.

Camminai sino a raggiungere una panchina sulla quale non persi tempo a stravaccarmi. Nonostante il dolore acuto al bassoventre ed il mal di testa martellante, non vomitai, ma la sensazione di nausea fu persistente per i successivi minuti.

Ebbi piuttosto voglia di piangere. Un ladro senza bottino, solo nel bel mezzo del nulla, tradito, sconfitto, in preda ad una crisi di pianto. Deplorevole per qualcuno di orgoglioso come lo ero io.

Scossi il capo con amarezza ripensando al modo rude in cui Stan mi aveva trattato. Era plausibile che l'intera situazione lo avvilisse, ma stavolta le colpe andavano tutte a me. Avrei dovuto arraffare quella dannata corona senza indugio, e poi correre lontano da quel posto, lontano da Harry. E invece mi ero lasciato andare in assurdi ripensamenti.

Tossicchiai quando un conato di vomito mi riempì la gola, strizzando gli occhi mentre annaspavo nel tentativo di regolarizzare il respiro.

Dannazione, imprecai a denti stretti, poco prima che un fazzoletto umido venisse premuto contro le mie labbra con indescrivibile ardore.

Mi dimenai e trattenni il fiato, voltando la testa di lato per riuscire a guardare in faccia il mio aggressore. Era un ragazzo biondo dalla pelle lattea e gli occhi blu, spaventosamente spenti.

Il suo ghigno soddisfatto fu l'ultima cosa che vidi prima di perdere i sensi.

* * *

Strizzai gli occhi a causa della luce accecante che era ora puntata sul mio viso. La stanza sembrava vuota, immersa in una coltre densa di polvere e buio.

Mi dimenai sulla sedia sulla quale ero seduto, scoprendo solo in quel momento di essere stato legato con delle corde piuttosto spesse.

Grugnii, irritato e giustamente impaurito dalla situazione.

Pensai che gli sbirri mi avessero trovato e che mi avessero portato alla centrale più vicina. Il pensiero di passare il resto dei miei giorni in carcere mi fece rabbrividire, così aprii bocca per dar sfogo ai miei pensieri.

"Avete preso l'uomo sbagliato" dissi, atono.

Una risatina mi arrivò alle orecchie, segno che non ero poi così solo come avevo pensato.

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