Capitolo 11

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Qualcosa non tornava.
Come avevano fatto? Non era di certo il giorno dell'apertura del portale.

Era gelosa, tanto, troppo. Perché il figlio non aveva ancora nessun potere? Magdalena si interrogava su tutti quegli avvenimenti che l'avevano scombussolata; soprattutto l'avevano resa gelosa di Rachele.

Da quando era diventata Regina, Magdalena, si era ripromessa di trattarla male. Odiava quella ragazzina dai capelli biondi -o bianchi?- che non le portava mai rispetto. Odiava ancor di più che il Regno, adesso, aveva occhi solo per quella ragazza, che era riuscita ad andarsene.

Adesso la rivolevano indietro, diceva quell'insulsa gentaglia. Nessuno capiva la Regina e forse facevano bene. Negli ultimi anni troppi erano caduti nelle sue trappole, e lì erano rimasti. Illusi, delusi e confusi: un mix che esaltava Magdalena. Nessuno l'aveva mai vista, ma in giro si diceva che quella ragazza -perché era proprio giovane- faceva sortilegi di magia nera, oscura; niente a che vedere con i poteri del popolo o dello stesso marito.

Magdalena era la personificazione del male nel vero e proprio senso della parola. Lo sapeva anche lei e ne era felice. Felice di accogliere una potenza, una persona così potente, dentro sé.

Sorrise al pensiero. Suo figlio doveva andare, doveva arrivare, nell'Altro Mondo e prenderla, in un modo o nell'altro, e riportarla lì. Questi erano gli ordini superiori e Magdalena ne fu subito felice. Odiava la ragazza. Odiava che quella diventasse Regina. L'avrebbe distrutta.

Lasciandosi trasportare dal suo odio profondo non si accorse di essere arrivato nelle stanze del figlio, il principe Sanck.

Qualcosa però la fermo. Un'onda anomala la spinse contro il muro. Qualcosa non andava. Lei, che aveva il potere di non sentire dolore, lo aveva sentito. Cos'era appena successo?

La regina decise di tornare nelle sue stanze. Doveva indagare: un forza anomala di aggirava nella reggia.
E questo per lei e la sua padrona non era un bene.

***

La ragazza passeggiava tranquillamente tra le vie di quell'orribile paesino.
Un altro giorno era passato, un altro giorno di ingiustizie era passato.

Sospirò per la quarta volta consecutiva. Quanto avrebbe voluto che qualcosa l'avrebbe strappata dalla monotonia e dalla crudeltà della sua vita.

Quinto sospiro.

Ma sapeva che era impossibile: la sua vita era una ruota da quanto era nata.
Ritornava sempre lì, in quelle strade nauseabonde, da sola. Senza nessuno su cui appoggiarsi e piangere, sfogarsi. Sorrise all'idea. Quanto l'avrebbe voluto! Avrebbe pagato per avere un solo, misero amico; ma niente. La realtà era quella: lei che soffriva, loro che si divertivano e ridevano di lei.

Era una cosa che non le piaceva ma non era nemmeno in grado di cambiare. Desiderava quasi scomparire dal mondo alcune volte.

Non aveva nessuno.

Anzi, sì, qualcuno lo aveva ma non sapeva considerarlo un amico. In realtà non lo era.

Affogare nei ricordi: era quello che sapeva fare da sempre. Modellarli e crearli. Una cosa infantile per una diciassette, ovvio!, ma non era infantile anche prendersela con qualcuno che aveva problemi?

Perché gli altri potevano, e lei no?

Glielo avevano spiegato in  molti, nel modo più atroce, ma ci era abituata. Si era fatta una ragione della sua inutile vita mal vissuta.

Era convinta che un giorno anche loro avrebbero pagato: certo non augurava a nessuno ciò che stava passando, ma sperava che il fato prendesse un po' le redini della loro vita.

Rachele Kal -Uno Spirito Libero- //Wattys2016On viuen les histories. Descobreix ara