The Murder.

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Silenzio tombale. Sollevo le palpebre, mi sto svegliando, i ricordi bollenti fanno irruzione nella mia mente. Non voglio pensare al disastro che regna in questa camera dopo quello che ho combinato questa notte, ma... a mia grande sorpresa, trovo il contrario di quello che mi aspettavo di trovare: la mia camera è in ordine. Mi alzo e mi dirigo verso la cucina dove trovo mia mamma con un caffè e il mio fratellino Jacopo giocare alla Game Boy.
"Buongiorno, Zac" mia mamma si volta verso di me e mi sorride
"hai fatto tardi ieri eh?" dice, per poi avvicinare la tazza alla bocca. Sto per dire che in realtà ieri notte la casa era vuota, ma poi Jacopo si accorge che mi sono svegliato e fingendosi un aereoplano corre verso di me e io lo afferro con facilità, tenendolo tra le braccia, quindi lascio stare.
"Come stai oggi, campione?"
"Alla grande, ma ora mettimi giù!"

Non capisco cosa sia successo. Ieri ho fatto un casino. E se fosse stato un sogno? Tiro su la manica della felpa, su cui ci trovo il nome formato dai tagli. Mia madre se ne accorge e, preoccupata, avanza verso di me
"Oh Dio, cos'hai lì Zac?"

Nascondo il braccio dietro la schiena tirando giù la manica, poi fingo un sorriso.

"Niente mamma, è solo un graffio, nulla di grave. Vado a farmi una doccia". Le stampo un bacio veloce e scappo in bagno. Quando mi posiziono davanti allo specchio e guardo ciò che esso riflette, rischio di farmi venire un infarto: i miei capelli sono più neri, fin troppo scuri. La mia faccia è di un pallore nauseante e più mi scopro, più vedo la pelle sbiancata. Ho le occhiaie, ma sono più profonde dalle occhiaie causate da una notte passata male, e più violacee. Ora che noto meglio c'è qualcosa di strano anche nei miei occhi. Sono blu come il profondo dell'oceano, non più azzurri come il cielo. Non capisco come abbiano fatto mamma e mio fratello a non accorgersi di tutto questo. Mi spaventa, mi spavento, ma riflettendo penso che alla fine io non debba stupirmi, dopo quello che ho fatto ieri notte. Ho venduto la mia anima a Satana. L'ho visto. È venuto a prendere me.

***

A scuola mi guardano tutti, mi guardano e ridono, tutti hanno visto il video. Anche Ashley mi evita per mantenere la sua dignità del cazzo, non posso crederci. È la mia unica amica, dovrebbe consolarmi, non evitarmi come se stesse evitando la peste, a lei non dovrebbe fregare ciò che pensano gli altri, io sono il suo migliore amico, l'unico che l'abbia sempre aiutata.
Mi passa accanto Matthew, il ragazzo che mi ha pestato. Il cuore accelera, una strana sensazione mi pervade il corpo, mi irrigidisco tutto, lo guardo con odio, un odio mai provato in vita mia. Sento il sangue circolare nelle vene della fronte. Sto per fare qualcosa di molto cattivo. Mi sento una macchina in sovraccarico, che da nulla può essere fermata. Vendetta. È ciò che mi acceca in questo momento. Nella mente mi compare la scena in cui mi sferra i calci nel ventre. Non voglio ricordare, non ci voglio pensare, ma c'è qualcosa che mi obbliga a ripensare a quella scena. Il cuore accelera maggiormente e il mio corpo aumenta di calore. Vendetta. Vendetta. Solo vendetta. Seguo Matthew con lo sguardo, è appena andato in bagno. Lo seguo lentamente stringendo i pugni e cercando di mantenere ancora per un po' la calma.
Niente può fermarmi, nessuno può ostacolarmi. Lui entra nel cesso, io chiudo la porta principale del bagno aiutandomi con una sedia trovata lì vicino. Apro la porta che ci divide e mentre lui sta tirando su la cerniera dei suoi pantaloni, mi guarda divertito, ma dopo avermi osservato meglio, resta perplesso.

"Cosa ti è successo?" Balbetta.

"Tu riesci a vederlo... strano.
Ora è meglio se ti preoccupi di quello che sta per succedere a te, però." La mia voce è scura, calda... cupa, come se non fosse mia.

"Ehi bello cosa vu..." non gli lascio finire la frase e lo spingo indietro sul cesso e chiudo la porta a chiave dietro di me. Fa resistenza, cerca di reagire e scappare.

"Cosa cazzo stai cercando di fare? Frocio!" Urla.

Io non sono più in me, sono guidato dall'istinto, o forse da qualcos'altro.
C'è un chiodo tenuto debolmente nel muro, su cui è appoggiato un rotolo di carta igienica.
Svelto, afferro il rotolo e glie lo ficco tra i denti, non so quali siano le mie intenzioni, mi spingo fino a dove serve, per soddisfare il grande bisogno di vendetta. La carta igienica lo fa stare zitto ma continua a lamentarsi mugolando. Con un'improvvisa forza sovrumana stacco il chiodo dal muro. Con una mano tengo immobile lui, e con l'altra armata del chiodo arrugginito colpisco con la punta i suoi occhi, affondando la mia arma nelle pupille. Non riesco a ragionare, il mio scopo è vederlo soffrire. Molto. Intanto, rido. È spaventato, e sta soffrendo dal dolore. Mi sta supplicando, è questo mi diverte, è buffo. Questa situazione folle, unica, mi diverte.
Quando sto per fermarmi, senza che io lo voglia mi salta in testa ancora la scena in cui vengo pestato a sangue da lui e la sua faccia di merda e come se i ricordi fossero un comando, gli prendo un polso e glie lo rompo con una mossa secca, poi con il chiodo riesco a squartarglielo ed arrivare all'osso, dopodiché gli stacco la mano con una mossa veloce e forte. Gliela mostro soddisfatto, mettendogli la sua (non più) mano davanti al suo campo visivo, sorridendo come un sadico.

"Ehi, amico, non le usi più le tue mani per prendermi a pugni?" gli sussurro, molto vicino al suo viso. Lui continua a piangere e ad urlare con gli occhi squartati e sanguinanti, con il rotolo di carta igienica in ormai quasi in gola. Prendo il cellulare e gli scatto una foto, ora quello patetico è lui. Dopo, getto la sua mano amputata da me nel cesso sporco dalla sua urina, tiro lo sciaquone, ma l'acqua nella tazza sale, così immergo la sua testa, facendolo annegare nell'acqua, piscio e sangue nei polmoni. Dopo mi siedo esausto accanto al suo corpo senza vita, chiudo e riapro gli occhi respirando profondamente. Dopo aver rivisto il corpo sanguinante di Matthew il sangue mi si gela nelle vene, come se volesse preannunciarmi di una sensazione di nausea e lucidità che riottengo subito dopo. Guardo le mie stesse mani sporche del suo sangue, mi copro gli occhi.
Scappo dal bagno, riesco a passare in osservato ma con grande difficoltà riesco a scappare dalla scuola e raggiungere casa. Mamma è a lavoro e Jacopo è a casa, riesce a vedere il sangue di cui sono coperto nonostante io abbia fatto l'impossibile per nasconderlo, e si mette ad urlare.

"Cosa è successo Zac?"
Lo evito e vado in camera mia seguito da lui, ma lo spingo fuori e chiudo la porta a chiave. Cado a terra senza forze, sulle ginocchia, e inizio a piangere sommessamente. Non pensavo potessi spingermi fino a tanto... non l'ho solo ucciso, l'ho torturato.
Tra i miei forti singhiozzi e lacrime salate, sento un dolore lancinante alla parte superiore della schiena, come se in quel punto la carne si stesse improvvisamente aprendo, e urlo. Jacopo è fuori la porta che piange preoccupato, e batte i pugni contro la porta. Urla anche lui, è molto spaventato.

"Vattene via!". La mia voce è cambiata, è come se quando ho ordinato a Jacopo di andare via ci fosse qualcun'altro che urlasse insieme a me la stessa frase.

"Voglio la mamma! Esci da qui Zac ho paura, ho tanta paura" Urla ancora tra i singhiozzi.
"Vattene!" dico con difficoltà per il dolore alla schiena che mi attanaglia, è come se qualcuno me la stesse aprendo, come se dei coltelli ardenti stessero affondando lentamente nella mia carne. Stringo i denti dal dolore, e mi accorgo che la voce è ancora come se ne possedessi due.
È un dolore lancinante, atroce, insopportabile. Dopo un po' si affievolisce e smette di farmi male, e smetto anche io di urlare dal dolore. C'è solo Jacopo che continua a supplicarmi di aprire. Mi alzo dal pavimento, lentamente, e sotto di me trovo il mio sangue, con sopra due piume nere, come quelle di un corvo gigante, addirittura più nere dei miei capelli.

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