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La mattina dopo quella serata da dimenticare Abby, Helen, Sylvia e Diana partirono per il Federal Contest e l'unica immagine su cui, nelle ore che seguirono, mi soffermai volentieri erano i loro visi felici nel vedere i vestiti che avevo portato loro quando ci eravamo trovate per il solito appuntamento mattutino, un regalo per le serate di gala durante il Contest.
Senza che chiedessi loro nulla, mi promisero che avrebbero partecipato alla festa di Halloween: "Abbiamo deciso di buttarci" disse sorridendo Abby "Ora o mai più!" Applaudii nell'udire quelle parole, ma la notizia, in realtà, mi rese felice solo perché avrei potuto far incontrare Travis ed Helen in un territorio "neutro" e perché, a tutte e quattro, sarebbe servita per uscire definitivamente dal bozzolo in cui erano state rinchiuse per anni e per imparare a credere in sé stesse. Non mi importava più della scommessa, ero solo felice che ora potessero essere ammirate per quello che erano.

Mentre mi dirigevo verso l'infermeria del campus per la visita di controllo, riflettei sulla scommessa. Era un pensiero che mi disturbava: avevo paura che sarebbe arrivato alle loro orecchie, con conseguenze terribili. Ripensai a quei quattro visi sorridenti mentre mi salutavano prima di andare via e presi una decisione irrevocabile: dopo la visita per la caviglia sarei andata da Stefan e dagli altri a dire che me ne sarei tirata fuori. Avrebbero probabilmente detto che la scommessa, in quel modo, era persa, ma non aveva importanza. Almeno non ci sarebbero state scene imbarazzanti.

Ero talmente concentrata su quel problema, che non feci quasi caso di essere entrata in ambulatorio, né realizzai subito ciò che mi stava dicendo la dottoressa dopo la visita.

"Hai capito quello che ti ho detto, Walker?" Mi chiese spazientita.

La guardai. Non avevo sentito una parola. Scossi la testa. "In effetti no."

"Pensavo ti interessasse sapere che la tua caviglia sta meglio e che fra un paio di giorni potrai riprendere gli allenamenti."

"Splendido" risposi con un tono neutro che contraddiceva le mie parole. Mi alzai dal lettino, pronta per andare via. "Le rendo le stampelle e me ne vado, allora".

La dottoressa sollevò le sopracciglia, sorpresa e irritata dalla mia reazione. "Non ti interessa. Sei strana, Walker. Mi aspettavo che avresti fatto i salti di gioia nel sapere che è quasi tutto a posto". Scosse la testa e si sedette per scrivere il referto, che mi consegnò poco dopo senza aggiungere parola.

Diedi una scorsa veloce al foglio, poi mi diressi verso la porta. Avevo già la mano sulla maniglia, quando un pensiero improvviso mi fece fermare. "Dottoressa, terrei ancora un paio di giorni le stampelle. Per precauzione, così evito di sovraffaticare la caviglia."

Lei non commentò la richiesta. Qualsiasi cosa stesse pensando, la tenne per sé. Si limitò ad alzarsi e a porgermi quei due aggeggi infernali.

"Grazie. Arrivederci." Senza aspettare risposte uscii dall'infermeria e, zoppicando un po', mi allontanai fino ad arrivare a una panchina poco distante. Non avevo tanto tempo a disposizione prima dell'inizio delle lezioni, ma avevo bisogno di raccogliere le idee.
Perché ciò che mi era venuto in mente poco prima era che non avrei potuto reinserirmi nel gruppo che si stava preparando per la gara. Non così a ridosso della scadenza, quando entro pochi giorni la mia permanenza alla Dartmouth avrebbe con ogni probabilità avuto termine. Stavo male all'idea, ma non c'erano alternative. Sarebbe stato deleterio per la buona riuscita della competizione che io rientrassi in squadra per uscirne poco dopo, tanto più che avevo visto gli allenamenti e, anche senza di me, se la stavano cavando più che bene.
Ancora una volta, si affacciò il pensiero che, se avessi accondisceso alla richiesta del mio patrigno, questo problema non sarebbe sorto e io avrei potuto riprendere il posto di capitano in un batter di ciglia. Ma, ancora una volta, rifiutai l'idea di accettare e il mio cervello non volle più tornarci sopra.

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