Passaggio

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Quando tutto il fumo prodotto dalle nostre canne si fu dileguato bella fresca aria serale e nel buio cielo di città, mi resi conto che si era fatto tardi. Avevo i crampi allo stomaco per la fame perché non mangiavo dal giorno precedente, forse anche di più, e sentivo il mio stomaco che gemeva disperato. In oltre quella sera aveva una faccenda piuttosto seria da sbrigare, stavo appunto pensando a quello che Leo mi mandò un messaggio sul cellulare. Senza farmi notare troppo dagli altri lo visualizzai e lessi:
- io torno a casa, per stasera fa niente, rimandiamo a domani.
Avevo appena finito di leggere con un certo dispiacere che Leonardo si alzò in piedi e saluto tutti facendo per andarsene. Mi sentivo troppo in colpa per aver rovinato la cena con i genitori, avrei dovuto aiutare Leo, non farmi di erba con lui! Così mi alzai anche il velocemente e lo chiamai:
- aspetta! Mi dai un passaggio a casa?
Jacub si mise subito sulle difensive e si offrì di accompagnarmi lui, ma prima che potessi accettare Leonardo aveva già risposto:
- non c'è problema Jak l'accompagno io, abitiamo vicini, ti giuro che non la tocco.
Jacub veramente non sembrava molto convinto, ma dopo avermi osservato per ancora qualche secondo mi fece cenno di andare con il capo. Così io e Leo ci dirigemmo in silenzio verso la sua moto parcheggiata lì vicino. Lui salì a bordo in silenzio e io feci lo stesso, quando realizzai che mi sarei dovuta attaccare alla sua schiena avvampai di vergogna. Però lo feci, forse perché dopo tutto mi mancava il buon odore della sua felpa, e il mio viso schiacciato contro la sua schiena. Così partimmo e il tempo sembra infinito, mentre ricordavo pingevo, quando piangevo non riuscivo più a fermarmi. Arrivati davanti al portone di casa mia scesi dalla moto asciugandomi le lacrime sperando che Leo non notasse niente. Però il ragazzo se ne accorse, asciugò le mie lacrime con la mano e mi guardò negli occhi con i sui nero pece, morivo dalla bolgia di abbracciarlo e di schiaffeggiarlo allo stesso tempo. Poi mi feci forza e mi diressi verso il portone di casa, prima di entrare nel palazzo gli dissi mogia:
- mi dispiace per là cene, facciamo domani?
Mi fece cenno di sì col capo abbozzando un sorriso forzato, ma vedevo la disperazione dentro i suoi occhi, poi scomparvi dentro casa. Quando fui finalmente nell'ambiente silenzioso e cimiteriale di casa mia, con i fiori appassiti che la nonna aveva dimenticato di annaffiare, i fiori della mamma, mi sentii bene e male allo stesso tempo. Poi però ci ripensai, mi sentivo solo male. L'appartamento era troppo silenzioso, camminai lungo tutto il corridoio senza sentir volare una mosca, c'era un'atmosfera da film. Poi d'improvviso la porta della camera di Edo si aprì e io sobbalzai come se avessi visto un fantasma. Edoardo mi squadrò per un poco con gli occhi inquisitori, poi mi chiese con voce atona:
- sei fatta?
Rimasi un'attimo stupita dalla domanda è guardandomi allo specchio gli chiesi:
- ho gli occhi così rossi?
Edo fece spallucce mentre io davo un'ultima occhiata piena di sdegno alla mia tremenda immagine nello specchio, poi andai in terrazzo a fumarmi una sigaretta. Mi sedetti su una di quelle scomode sedie e accesi una Marlboro guardando il fumo che volteggiava leggiadro nell'aria. Edoardo mi raggiunse e si sedette accanto a me, non mi dava affatto fastidio, anzi, preferivo non rimanere mai sola con i miei pensieri, quelli tentavano di uccidermi. Notai Edo che fissava con incantato la mia sigaretta che si consumava ad ogni tiro, così pensai che potesse essere un'alternativa ai tagli e gli chiesi:
- vuoi provare?
Sapevo che era sbagliato ma vederlo fumare non mi avrebbe mai fatto stare male quanto guardarlo squarciarsi la pelle ogni giorno. Edoardo sembró esitare un poco, non era spaventato all'idea del fumo, ma non riusciva più a nutrire interesse per nulla, in fine rispose:
- si...
Gli porsi la mia sigaretta ma mi ricordai che non eravamo fratelli di sangue dopo tutto, magari gli dava fastidio:
- ti fa schifo se provi con la mia?
Come risposta il ragazzino prese la sigaretta che gli avevo allungato e se la ficcò in bocca, fece un tiro fissandomi con aria interrogativa. Notando l'errore lo corressi:
- no, devi mandare giù per fumare veramente.
Edoardo riprovò un paio di volte finché non gli dissi che andava bene, e ora che aveva imparato la sigaretta era consumata fino al filtro. Mentre ne accendevo altre due, una per me è una per lui, gli chiesi con un filo di inquietudine nella voce:
- com'è andata a scuola?
Edo mi rispose facendo uscire del fumo grigio dalla bocca:
- male, come al solito...
Rimanemmo un attimo a fissare il vuoto entrambi, non capivo perché noi due riuscissimo a capire più i nostri silenzi che le nostre parole. Poi gli dissi con tono stanco:
- sarebbe una bugia inutile se ti dicessi che le cose si sistemeranno vero?
Lui spense la sigaretta finita su un vaso di fiori e la lasciò cadere verso il cemento sottostante, chissà se un giorno anche noi l'avremmo imitata, il volo della morte, o forse della vita. Poi Edoardo mi rispose:
- a volte è meglio accettare la verità, che vivere in un mondo di bugie...

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