2. A passo di bambino

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Decisi quindi di portare Michael verso la mia postazione, così che non rimanesse da solo, con la promessa di trovare un treno che lo portasse dritto a Londra. Lui, comunque, non ha risposto a tutte le mie domande e io pur di non essere invadente ho preferito il silenzio. Poi l'esperienza mi ha insegnato che le parole vanno dette se necessarie e il silenzio è il suono più lieto. Mentre strappavo biglietti e cambiavo le banconote dei passeggeri, Michael stava seduto in un angolo, con il suo solito sguardo cupo e i piedi a penzoloni. Per ogni treno che lasciava la stazione, il misterioso bambino si voltava come se cercasse qualcuno. Ma chi? Volevo delle risposte e non capivo come mai Michael mi interessasse così tanto.
"Ho fame" disse dopo ore di silenzio.
"Ho fame" ripeté.
"Cosa vuoi?" risposi io. Non mi ero mai preso cura di un bambino e, cercando di ricordare cosa mi piacesse mangiare a dodici anni, tirai ad indovinare.
"Ho fame, comprami del cibo". La sua presunzione mi infastidiva.
"Per l'amor del cielo, Michael, un po' di gentilezza" gli risposi. Mi guardò con aria di sospetto, alzò gli occhi al cielo, si guardò gli scarponcini e di nuovo si voltò verso di me.
"William vorrei qualcosa da mangiare" soffocò quello che sembrava un sorriso.
"Ma certo caro bambino, vieni". Si alzò di scatto, quasi per correre, lo vidi saltare e poi iniziò a camminarmi al fianco. Michael osservava tutti i negozi e le persone faticavano nel vederlo, era basso, esile e portava un cappello verde. Bizzarro era il suo modo di camminare, i piedi si spostavano verso l'interno forse per abitudine, forse per la troppa grandezza degli scarponcini. Le ginocchia, scorticate come tutte quelle dei bambini, si piegavano e si stendevano creando un saltello ad ogni passo. Una mano teneva la sua carpetta di cuoio, l'altra rimaneva penzolante.
"Cosa tieni li?" chiesi, mentre ci dirigevamo verso il forno del mio caro amico Jean.
"Niente" e strinse ancora un altro po' la sua carpetta con la piccola mano. Sapevo che qualsiasi cosa ci fosse dentro quel suo segreto scrigno era importante. Non volevo fare troppe domande, lo avrei infastidito e sarebbe scappato. Accettai la sua risposta come una medicina amara, ma non mi importò.
"Bonjour Jean" dissi una volta entrati. Michael si guardava intorno e con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, guardava ogni tipo di pane, frittelle e dolci che erano esposti. 
"Bonjour William. Chi è questo piccolo amico?" sorrise a Michael.
"Voglio quello" disse lui e indicò  un croissant. Jean si affrettò per soddisfare il bambino e io continuavo a fissarlo. Ringraziai il mio amico e dopo aver pagato uscimmo per ritornare nella biglietteria.
"Riesci a mangiarlo tutto?" chiesi sbalordito per la grandezza del croissant.
"Ma certo" rispose lui imboccando il dolce. Sembrava non mangiasse da molto; rimasi li a guardarlo e non mi accorsi dei minuti e delle ore. La stazione di sera era poco affollata, la signora Gabrielle aveva già chiuso il suo piccolo angolo ricco di fiori e anch'essi già dormivano. Jean aveva sfornato le ultime baguette parigine e anche lui spense le luci. I treni continuavano a venire e ad andare, mentre molti preferivano dormire. Anche Michael sembrava stanco.
"Devo portarti con me" dissi, mentre lui soffocava uno sbadiglio. Anche il mio lavoro per oggi era terminato, non dovevo far altro che tornare a casa.
"Avevi detto che avresti trovato un treno per me" rispose mentre si strofinava gli occhi.
"Mi dispiace, nessun treno per Londra". Ero davvero dispiaciuto, volevo aiutare quel bambino, ma quel giorno, da Parigi, nessun treno lo avrebbe portato così lontano. Lo convinsi a venire con me, in un luogo al caldo, quel luogo in cui tutti i bambini dovrebbero stare. La mia casa.

L'eredità di ClaudetteWhere stories live. Discover now