7. Michael Tomson

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Spiegai diverse volte a Michael in che modo fu costruita la Tour Eiffel. Lui però continuava a chiedermi in che modo fossero arrivati così in alto. Dopo aver ripetuto le stesse parole, per l'ennesima volta, Michael cantò una risata forte, mentre stringeva le mani allo stomaco, divertito dalla mia espressione infastidita. Da qualche parte, fra i miei vissuti pensieri, qualcosa mi faceva credere che, alla sua partenza, Michael mi sarebbe mancato. Tuttavia non ero ancora in grado di ammettere la simpatia e, forse, anche il bene che volevo a quel bambino. Qualcosa mi spingeva a credere di non avere bisogno di lui, attorno a me, tutto ciò che mi circondava riusciva ad appagarmi. Ero vittima del tempo, in una prigione senza sbarre né pavimento. Ero un prigioniero libero nel mio stesso carcere, la morte avrebbe aperto la mia cella, liberandomi. Da quando Michael era entrato a far parte delle mie giornate, non pensavo più alla morte, né la attendevo come prima. Inevitabilmente Michael era riuscito a farmi apprezzare le mie giornate, la mia vita e me stesso. Il mondo dei bambini ci coinvolge, in silenzio, loro giocano e parlano, ci osservano, senza mai assumere le vesti di severi giudici. Abbandonai i miei pensieri e richiesi a Michael di raccontarmi la sua storia. Lui, senza ribadire, iniziò:
"Sai, William, il mio cognome non mi piace, perché da poco ho scoperto di non essere un Tomson. A te piace il tuo cognome? Ho dodici anni, anche se mia nonna Elsa dice che ne dimostro almeno quindici. A scuola mi prendono in giro, sono basso, magro e non sono bravo a tirare la palla. Ho un fratello, che poi non lo è davvero, Theodor, viziato e piagnucolone. Mio padre, Harold, è nato in Irlanda, è un uomo alto, con la barba corta e ben curata. Ma non è il mio vero padre. Ama indossare le camicie e stringe per bene il nodo della cravatta prima di andare a lavoro. La bottega è il luogo dove passa più tempo, mette il suo grambiule bordeaux e ricama le più belle stoffe di Firenze. Mamma Allison è una buona mamma, anche lei indossa abiti eleganti; ogni venerdì esce con papà -serata di gala- dicono a me e Theodor prima di uscire. Si trucca per bene ogni mattina, il rossetto rosso, che talvolta le tinge i denti e con un pennarello nero dipinge un neo sul lato destro del labbro. Il suo colore preferito è il rosa, per questo, papà Harold le regala sempre fiori profumati e rosa per il suo compleanno.
Il merletto si trova come sottovaso, sui divani e sui tavoli, in casa Tomson. Non mi piace il rumore delle macchine che papà usa per cucire, per questo passo molto tempo in strada piuttosto che in bottega come fa Theo. Gioco in strada ogni pomeriggio con Marco e Giacomo, dopo aver seguite noise ore di matematica con il maestro Biliotti. Nonna Elsa cucina dei buoni biscotti allo zenzero, che porta a casa il lunedì mattina, così che io e Theodor possiamo mangiarli. Mio fratello, anche se non è il mio vero fratello, è paffuto, basso e con le lentiggini sul viso. Si scotta facilmente al sole, mentre io passo molto tempo fuori. Mamma non mi permette di rimanere fino a tardi, posso giocare soltanto davanti casa e dice sempre di non avvicinarmi alle persone che non conosco. Harold ha molti clienti, ma una donna, da poco tempo, frequentava spesso la bottega. La figlia, Marilù, si sposerà a breve. I miei genitori stanno preparando il suo abito da sposa, bianco come il latte caldo che la governante versa nella mia tazza al mattino. Mi piacerebbe conoscere mio padre, chissà se beve anche lui il latte, chissà come si chiama, che cognome ha. E tu, William, ti piace il tuo cognome?" sorrise, scacciando una pietra con il piede. Il sole era quasi andato via, mentre noi ci avvicinammo verso casa.
"Sì" risposi "Mio padre era una brava persona. Come Harold ed Allison, non trovi?".
Michael mi guardò, restò in silenzio per qualche secondo, poi rispose.
"Sì".

L'eredità di ClaudetteWhere stories live. Discover now