L'INCONTRO

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Ero ancora in quello squallido bar vicino a casa.

Mi piaceva andare lì soprattutto per una cosa: il barman non parlava, non chiedeva e la clientela che frequentava quel posto, solitamente, se ne stava zitta per i fatti propri. Dopo aver lavorato un'intera giornata, ed essere approdata a casa con le migliori intenzioni, finita la mia solitaria cena, mi rifugiavo lì dentro.

Mia madre aveva perso mio padre da poco più di otto mesi e di rado le interessava se io o mio fratello fossimo vivi o meno, in buona salute o meno. Il prepararci la cena, era diventato un automatismo che spesso riusciva anche a dimenticare. Eppure sorrideva sempre.. ma ero certa che dietro quella maschera di serenità, celasse dolori e preoccupazioni. Anche io stavo male, anche io ero ferita, preoccupata, con un grosso vuoto da colmare ma non per questo sfogavo i miei malesseri contro di lei.

Avevo invece scoperto quella bettola un mese esatto dopo la scomparsa di mio padre; "La Cava" veniva chiamata. Era piccola, angusta e con un forte odore di muffa e stantio. In un angolo c'era un jukebox inutilizzato. Chi veniva qui non aveva voglia di musica. C'era anche un biliardo, unto e logoro. Da quando bazzicavo da queste parti, non avevo ancora mai visto nessuno avvicinarsi. L'unica cosa che scorreva a fiumi, era l'alcol. Quello era la grande richiesta del locale. Una richiesta che facevo abbondantemente anche io.

«Ancora» dissi al barman.

Non mi aveva mai detto di no, né consigliato di andarmene a casa quando avevo esagerato troppo. Versava sempre, in silenzio.. fin quando non mi strisciavo da sola per due isolati, a casa.

Avevo scoperto che era spagnolo dall'accento con cui mi chiedeva cosa desiderassi o forse lo avevo dedotto per via del cartellino col nome: Carlos. All'inizio avevo variato la qualità delle bevute, provando vini, grappe, cocktail e tanto altro ancora ma da un po' a questa parte, mi ero fossilizzata sullo scotch e ormai Carlos nemmeno mi chiedeva più cosa volessi.

Tracannai quasi in un colpo solo il bicchiere, sbattendolo con forza sul bancone. Era il mio segnale, voleva dire che con quello, avevo chiuso la serata. Il barman mi fissò annuendo, quando gli appoggiai la banconota di grossa taglia sul bancone. Non volevo mai il resto. Annegare i propri pensieri nell'alcol doveva costare molto di più di quello che invece mi avrebbe chiesto. Pagare profumatamente le mie bevute, mi faceva sentire meno sporca, meno sbagliata.

Quando mi alzai stordita dalla sedia, l'occhio mi cadde all'uomo, che aveva iniziato da qualche settimana, a frequentare con abitualità il bar. Sedeva in un angolo buio, in un tavolo, da solo. Mi fissava sempre con insistenza e da un certo verso ne ero lusingata se non fosse stato così terribilmente inquietante. Aveva un'aria talmente tanto malavitosa, che se non era un serial killer, poco ci mancava. Alto, capelli non troppo lunghi, neri, ribelli. Aveva grosse spalle, da quello che avevo potuto scorgere da sotto il giaccone in pelle. Gli occhi erano scuri, due enormi pozzi profondi. Una volta sola lo avevo guardato negli occhi e Dio me ne guardi se lo farò ancora. Ero rimasta inchiodata alla sedia, mentre il suo sguardo sondava ogni parte di me.. ogni parte più nascosta, ogni lato più intimo.

Mi era corso un brivido lungo la schiena quando il suo sguardo aveva indugiato prima sulle mie labbra e poi sul mio collo.. e poi per un attimo il brivido mi era entrato dentro, sotto la pelle, nell'anima e si era insinuato nelle mie mutandine, fino a farmi gemere e facendolo sorridere. Sembrava strano che i tanti metri che ci separavano, fossero come scomparsi. Aveva sentito quel mio flebile singulto o forse se n'era accorto da qualche reazione che avevo avuto. Ad ogni modo, mi ero voltata di scatto e da quella volta, me ne guardavo bene da non incrociar lo sguardo al suo.

Quella sera mentre me ne stavo andando, anche lui si alzò in mia contemporanea e un po' intimorita ma senza volergli dar l'idea che lo temessi, uscii dal locale precedendolo di poco.

Il Segreto di Lynda JonesWhere stories live. Discover now