ETERNITA'

762 78 20
                                    

I giorni passavano. Soprattutto le notti.

Dopo l'aggressione del vicolo, mi ero ripresa pian piano. Valentine era stato per tutto il tempo della convalescenza al mio capezzale e questa sua dimostrazione d'affetto per me era valsa molto più di milioni di parole.

Nonostante il mio fisico stesse bene; la mia mente ancora non del tutto.

Non riuscivo a distaccarmi dalla mia vita umana e per quanto ci provassi, ogni volta che succedeva qualcosa, scivolavo sempre più in basso in un baratro senza fine, dove il mio scopo era quello di ritornare alla mia precedente vita.

Solo che non si poteva.

Mi abbracciai le ginocchia fissando il cielo stellato. Non che avessi freddo... era solo uno dei tanti gesti che mi erano rimasti dalla mia umanità.

Il vento dell'inverno mi soffiava nei capelli, che mossi da vita propria si agitavano come una bandiera. Ero sul tetto di casa. Mi rifugiavo spesso qui, quando avevo bisogno di pensare.

Un rumore mi fece voltare. Valentine uscì a piedi scalzi. Il tempo non ci era più nemico né quello climatico né quello che scoccava inesorabile dettando il cammino di ogni umano verso la morte.

Teneva in mano due tazze e una la porse a me. Prima di prenderla, la guardai con diffidenza. Dopo il banchetto di Veren ogni bicchiere, coppa, caraffa o contenitore che fosse, mi dava ribrezzo provocandomi intensi brividi. Dopo quella notte, nessuno dei due parlò più di lei. Non gli chiesi nemmeno chi fosse per lui perché ogni volta che ci pensavo, mi mancava il coraggio. Probabilmente non gliel'avrei mai chiesto.

«E' caffè» rispose lui, vedendo la mia esitazione.

Sì, il caffè mi piaceva ancora.

Allungai la mano per prendere la mia tazza e lui si mise a sedere al mio fianco, alzando il viso verso il cielo «Quante stelle questa notte» disse sorpreso.

Strano che nonostante abitassimo tutti sotto questo cielo, riuscissimo a stupirci delle stelle ogni volta che si guardavano. Era sempre come la prima volta, da bambini.

«Già... grazie per il caffè» dopo la mia aggressione, Valentine si era distaccato da me. Presente fisicamente ma non con la testa. Aveva progettato la nostra partenza nei minimi dettagli e quella era l'ultima notte che potevo godermi quel tetto e quella fetta di cielo che vedevo da quando ero nata.

L'indomani notte, saremmo partiti chissà dove.

Sorseggiò il proprio caffè prima di rompere il silenzio «Vorrei che tu riuscissi ad accettarti. Ad accettare ciò che ora sei»

«Non riuscivo ad accettare ciò che ero prima figurati se riesco ad accettare ciò che sono adesso. Bel problema, non credi?» lo dissi con ironia ma purtroppo era la verità. Non riuscivo a sopportare la mia vecchia esistenza, il mio trascinarmi avanti, giorno dopo giorno... eppure, non riuscivo a fare pace con la mia coscienza nemmeno in questa nuova vita, dove ancora gravavano sulle mie spalle le vecchie abitudini umane e i miei vecchi principi, di cui non riuscivo a fare a meno.

L'idea di uccidere; era quella a frenarmi. Ancora non ero in grado di farla diventare parte integrante della mia nuova me. Nonostante questo, quando la sete attanagliava le mie vene e il mio spirito, non mi facevo alcun problema ad uccidere.

Mi strinsi la base del naso, sopraffatta dal turbinio di emozioni che costantemente mi governavano. Nei libri i vampiri venivano descritti come esseri privi di sentimenti; mostri senza anima e cuore. In verità, anche noi provavamo i più svariati impulsi. C'era solo chi preferiva accantonarli e chi come me ci combatteva notte dopo notte; sapevo solo che mi sentivo stremata tanto da voler spegnere i pensieri. Giusto per un po'.

Il Segreto di Lynda JonesWhere stories live. Discover now