LA RINASCITA

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C'era quel ticchettio. Quel fastidiosissimo, irritante ticchettio.

Continuava a pulsarmi nella testa come se fosse quest'ultima a produrlo, come se provenisse da me. Volevo dormire, dormire fino a diventare un tutt'uno con la terra.. eppure quel ticchettio continuava con insistenza a infastidirmi. Era come se qualcuno picchiettasse con l'unghia su qualche superficie. Decisamente snervante.

Aprii gli occhi. Buio. Era completamente buio.

Con le mani sondai attorno a me. Ero chiusa. Sia sopra che sotto. Un cuscino sotto la testa; nemmeno troppo comodo. Quando gli occhi si adattarono alle tenebre di quel posto, mi guardai meglio attorno. Una bara. Ero in una dannatissima bara. Cercai a tentoni uno spiraglio. Doveva esserci un foro, una maniglia interna per poterla aprir da dentro, no? Chi poteva avermi messo in una bara? Quale persona poteva divertirsi con uno scherzo tanto crudele?

I ricordi erano sfuocati, mi doleva la testa.

Dannazione! Non potevo credere di essere chiusa in una bara. Colpii il coperchio, fece un suono sordo, cupo. Oddio.. ero sotto terra.

Il panico si prese facilmente possesso di me; iniziai a gridare, a sbattere contro qualsiasi superficie mi circondasse, a chiedere aiuto.. ma che dico.. urlare aiuto. Urlare disperata.

Ma chi poteva sentirmi? Chi mi avrebbe soccorso? Ero chissà quanti metri sotto terra, non ero nemmeno certa che le mie grida potessero udirsi. Ero vestita da morto, in una cassa da morto e sicuramente avrei finito con il fare quella fine.

Non volevo morire. Non volevo assolutamente morire.

Ero ancora così giovane; la mia bellezza ancora non era sfiorita negli anni. Non avevo ancora assaggiato il piacere dell'amore vero.. incontrando per la strada solo persone sbagliate. Non mi ero ancora evoluta in madre, in nonna. Volevo farle tutte quante quelle cose. Volevo vivere. Volevo abbracciare ancora una volta la mia famiglia. Così iniziai con rabbia a dar i pugni contro la bara, contro il coperchio, gridando furiosa, ringhiando dalla fame. Nella profondità del mio essere, un richiamo, un desiderio incolmabile si stava facendo strada. Un borbottio terrificante e animalesco. Ero io a farlo? Sembrava quello di una bestia famelica. La terra prese a scendermi sul viso, nella gola, infiltrandosi nei buchi che con impetuosità creavo sul legno, colpendolo. Colpendolo con forza inaudita che nemmeno pensavo potesse sprigionarsi dal mio corpo.

Ed essa scese, come una marea, come una valanga, riempiendo il posto del mio eterno riposo e costringendomi a spingere verso l'alto. A salire verso l'uscita. Non avevo più il respiro. Terra ovunque; non filtrava minimamente spiragli d'aria. Sentivo bruciarmi i polmoni, dolermi la gola piena di terra. Le nocche ormai livide e squarciate continuavano ad annaspare alla ricerca della luce. Alla ricerca del vuoto, dell'uscita. Chissà fuori se era notte o giorno.

I vestiti mi si erano incollati al corpo, umidi e sporchi. Mamma e Kevin dovevano aver dato fondo a tutti i loro soldi per avermi fatto il funerale, il completo e tutto il resto. Invece, ero viva. Spreco di soldi. Ma com'era possibile che mia madre non si fosse accorta che respiravo? Sicuramente mi aveva vestito lei nell'obitorio. Non capivo.

Tra le mani scendeva, friabile. Ero persa, totalmente persa e l'aria era finita.

Quando ormai pensavo che sarei veramente morta così, intrappolata tra la mia tomba e l'esterno; la mia mano uscii e una brezza leggera la invase.

Aria. Libertà.

Mancava così poco.. ero così vicina che non potevo arrendermi. La forza si fece risentire, riemergendo dalla profondità del mio animo sperduto e ripresi a scavare, ad aprirmi un varco con le mani riuscendo finalmente a sbucare con la testa e trascinando quel mio corpo ancora intorpidito fuori. Crollai sopra il terriccio smosso, ansimando e scoppiando a piangere.

Il Segreto di Lynda JonesWhere stories live. Discover now