LACRIME ROSSE

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Cedette sotto le mie mani, quel debole collo, mentre a cena conclusa gli davo il colpo finale.

Dopo l'intima notte passata nel letto di Valentine, erano passate intere settimane di silenzio, dove non ci scambiavamo oltre il saluto. Non mi riguardavano i suoi pensieri, erano privati e intimi; eppure mi dispiaceva quel suo sguardo triste e perso nel vuoto a rincorrere chissà quale doloroso ricordo.

Lasciai cadere il cadavere sul letto e lo fissai schifata della sua espressione. Era un giovane ragazzo, dai limpidi occhi verdi e un'espressione di terrore dipinta in volto. Lo avevo avvisato. Gli avevo detto che l'avrei ucciso, ma la mia minigonna lo aveva attratto più delle mie parole e ora giaceva lì, immobile.

Mi stiracchiai svogliatamente e ricomposi quella parte di me che sempre si angosciava dopo aver tolto una vita. Valentine credeva che presto il mio cuore si sarebbe inaridito come il suo. Che presto avrei smesso di provare pena per le mie vittime; ma in fondo, speravo che non accadesse.

Avevo bisogno di ricordarmi ogni giorno cos'ero e ricordarmelo, era una dolorosa punizione che credevo di dovermi infliggere. Nonostante la gratitudine di questa nuova vita, non riuscivo ad entrare nel meccanismo del predatore. Quella parte umana, ancora profondamente ancorata in me mi faceva sentire più preda che cacciatore.

Guardai il corpo pallido del ragazzo, prosciugato fino all'ultima goccia. Gli occhi vitrei guardavano in alto, verso un Dio che fa da osservatore, impietoso. Avevo sentito di umani che prima di morire pregavano. Quando ero morta io, non avevo pregato niente.

Afferrai il lenzuolo, coprendolo. Non avevo sprecato nulla di lui. Con le mani mi sfiorai le labbra, socchiudendo gli occhi e riassaporando ciò che mi era rimasto di lui in bocca. Aveva un sapore così dolce e allo stesso tempo speziato; era orientale.

Mi ero trovata a prediligere i maschi. Dopo Agata, non avevo più bevuto dalle donne. Nella mia testa trovavo irrispettoso profanare la mia prima preda. Scegliendo gli uomini, era come se ogni volta, dessi un valore maggiore al suo sacrificio.

Camminai a piedi scalzi fino al bagno. Dopo aver cenato, mi lavavo sempre. Era una necessità fastidiosa quella di sentirsi costantemente pulita. Il mio sguardò inseguì lo specchio, fino a scrutare quella pallida figura che si trasmetteva sulla superficie.

I vampiri si possono specchiare, sì. Lo avevo scoperto una notte, entrando in bagno. Avevo urlato. Ero convinta del contrario. Valentine era corso in mio soccorso. Mi era sembrato divertito. Giustamente, per quanto la legenda fosse interessante, mi aveva spiegato che anche gli oggetti inanimati riescono a rispecchiarsi e infondo anche i vampiri hanno una solidità.

La pelle era pallida, sembravo una statua in alabastro; lucida e liscia, priva di pori. Le mie gote erano leggermente rosee per via del sangue appena preso. Non riuscivo mai a dire se ero fredda o no; non sentivo più le temperature. Le mie mani sembravano più affusolate, le unghie bianche e cadaveriche. Si vedeva da quelle che c'era qualcosa in me non andava; che ero diversa. Mi passavo dello smalto nero per renderle più appariscenti e meno funerarie. Gli zigomi erano diventati un pò sporgenti, le labbra si erano assottigliate. La mia figura per quanto fosse minuta, sembrava in tutto e per tutto una terrificante riproduzione di un animale feroce. Era lo sguardo che mi conferiva questo potere. Profondissimi occhi neri che sembravano ingoiare la luce. Dei pozzi profondi senza via d'uscita, con cui riuscivo a intrappolare le più incaute prede. Ero cambiata così tanto che in quello specchio vedevo riflessa l'immagine di una donna che non riconoscevo.

Avevo perso tutto. La mia famiglia. Il mio lavoro. La mia misera vita.

Avevo perso ogni aspetto di me. Ero morta. Rinata.

Avevo plasmato la mia esistenza ed ero diventata qualcosa che non ero sicura mi piacesse. La riconoscenza per essere stata trasformata in vampira, dopo i primi tempi, aveva lasciato spazio al rimpianto e ai rimorsi.

Cos'ero? Cos'ero diventata?

Con la coda dell'occhio seguii il lenzuolo del letto che definiva i contorni di quel cadavere. Ero arrivata addirittura a questo. Come potevo essere arrivata a questo? Come potevo nutrirmi di vite altrui con così tanta leggerezza?

Mi presi la testa tra le mani. Era un dolore così straziante. Un'angoscia così logorante. Sentivo il male raschiarmi le profondità dell'essere. Sentivo il sapore ferruginoso del sangue graffiarmi la gola, salire e scendere come una marea.

Un mostro. Ero un mostro.

Gridai disperata, uccisa da quella verità così ingrata. Le mani si bagnarono di sangue, mentre continuavo a tenermi con dolore il viso. Alzai quanto bastava lo sguardo verso lo specchio per capire che mi stava capitando e riflessa in esso vidi quella che in realtà dovevo essere io, con uno sguardo soffocato da un malessere crescente e due rigagnoli rosso ciliegia che colavano su quell'esanime viso, deturpandone quell'immota bellezza.

Fu spaventosa e lacerante quella consapevolezza di me.

Nemmeno nelle lacrime ero più io. La rabbia prese il sopravvento, accanendosi contro quell'immagine con forza. Colpì lo specchio satura di rancore e disperazione, crollando in terra ormai rivoltata dalla mia stessa presenza.

Le mani intinse del mio sangue sembravano il macabro scenario di un gesto sconsiderato. La canottiera zuppa di quel liquido rosso che ormai era diventato ricorrenza della mia non vita. Calciai furiosa la cesta dei panni, non troppo distante da me.

Lacrime. Lacrime di sangue.

Quello che ne restava di me, viveva in base a questo. Il sangue era vita. Il sangue era tutto ciò che era rimasto di me.

Sentii delle mani sulle spalle, le strinsero massaggiandole dolcemente. Il profumo della notte e di Valentine mi pizzicò le narici, sfondando l'angusto spazio del bagno. Mi cinse, tirandomi a se. Chiusi gli occhi, debole preda fra le sue mani. Era così cocente la mia bramosia per lui che a poco a poco, sarei stata disposta a dare tutto pur di averlo. Disposta a perdere definitivamente me stessa pur che mi concedesse attimi con lui. I piedi diafani si allungarono vicino ai miei, mentre mi teneva stretta a se, in grembo, con la mia schiena contro il proprio petto. Mi cullò in silenzio, senza dire nulla di quel mio scatto d'ira. Senza sgridarmi ne consolarmi, ma semplicemente restandomi affianco.

Mi lasciai stringere. Lasciai che il suo profumo invadesse i miei sensi. Chiusi gli occhi, sentendo quel ruscello di morte sgorgarmi ancora dagli occhi.

Il Segreto di Lynda JonesWhere stories live. Discover now