Quella era la tavola calda migliore della città, Brendon non ne aveva alcun dubbio e poche cose erano migliori in quella città.
Quel posto riusciva a rilassarlo come niente e nessuno c'era mai riuscito prima d'ora.
Forse era l'odore di caffè ancora da macinare o le paste appena sfornate, oppure era la gigantesca libreria che c'era ogni volta infondo alla sala, che dava possibilità ai clienti di sfogliare qualsiasi tipo di libro.
Oppure era quel minuscolo tavolino rotondo e bianco, nel quale si riflettevano le luci dei lampadari, lasciando che la superficie di esso risultasse lucida e la tazza del medesimo colore appoggiata sopra ad un piattino, mentre del fumo usciva da essa, disperdendosi nell'aria e facendo capire che qualsiasi cosa stesse contenendo, era ancora molto calda.
Le commesse, dietro al bancone, indossavano una camicetta bianca, che si intravedeva sotto il loro grembiule nero, tutto in quel negozio era degli stessi colori.
Brendon aveva notato come tutte avessero i capelli tirati all'indietro e infilato dentro uno di quegli orrendi cappellini da baseball, con scritto sopra il nome della tavola calda.
Evitava di guardare fuori dalle grandi vetrate, perché fuori c'era solo casino.
Aveva bevuto un sorso del suo tè, ustionandosi la lingua, mentre era concentrato a correggere dei compiti che aveva assegnato per casa ai suoi alunni.
No, di sicuro non sarebbe mai sembrato un vero professore, non avrebbe mai corso questo pericolo.
Odiava dare compiti, perché quando arrivava il momento della consegna realizzava ancora di più quanto quei piccoli bastardi non gli dessero il minimo ascolto ma doveva farlo, l'anno stava per finire e aveva più di trenta studenti all'ultimo anno che era sicurissimo avrebbe rivisto l'anno dopo, a meno che non lasciassero la scuola o venissero arrestati durante l'estate.
Solo cinque gli avevano consegnato il lavoro svolto e quattro di essi o lo avevano fatto da schifo, anche se con impegno, o ci avevano scritto frasi tipo "Pensava davvero che avessi fatto i compiti?" o "Fallito" o altre offese molto colorite che gli bastò leggere una volta sola.
Solo uno di quelli era svolto alla perfezione, nemmeno un errore, non ci aveva messo penna e controllava e ricontrollava, chiedendosi se non si fosse accorto di qualcosa.
Spostò il dito dal nome dell'alunno, che aveva letto già un milione di volte.
Non lo aveva mai visto stare attento, forse le prime volte, i primi giorni di scuola, prima che capisse che Brendon Urie fosse un completo idiota.
Lo aveva osservato durante l'anno e ogni volta lo vedeva parlare e ridere con la sua compagna di banco, nonostante questo sapeva che fosse intelligente e la sua fama da genio della matematica non si era sicuramente smentita al suo arrivo di quella scuola.
Ryan Ross.
"Posso sedermi?" Ed eccolo lì, con i capelli castani ancora spettinati dal vento, mentre cercava di rimetterli apposto nel miglior modo possibile.
Indossava una T-shirt bordeaux attillata, con un piccolissimo scollo a V e degli skinny jeans neri, tenuti su da una cintura marrone.
Si fece passare da sopra la testa la tracolla nera che si portava sempre dietro e senza aspettare una risposta scostò la sedia, sedendosi davanti al suo professore di matematica.
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I'm the worst
FanfictionRyden||Frerard||Kellic Cosa credete di trovare in una delle peggiori scuole d'America? I peggiori alunni, forse. I professori peggiori. - Forse fu una specie di segnale mandato dal cielo, per Brendon Urie. Forse avrebbe dovuto capirlo fin da subito...