Capitolo 2 Damon

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Sono entrato quasi strisciando nella sua stanza, con un sorriso finto stampato in volto e ho cercato di incastrare il mio sguardo nel suo, mentre mi inventavo la scusa più assurda per potermene andare senza farla insospettire.

Le ho detto che il proprietario della casa aspettava una firma sul contratto, altrimenti l'avremmo perso.

Sai quanto cazzo me ne può fregare di quello stupido appartamento, mentre lei sta rinchiusa in queste quattro mura?

Ho ringraziato silenziosamente Jenna e Crystal che hanno iniziato a squittire come due pettegole curiose, ho colto la palla al balzo e sono praticamente scappato come un ladro. No, non come un ladro, come un fottuto appestato che non può neppure respirare l'aria circostante a quel dannato ospedale.

Pesto un pugno sulla gamba, seduto sul sedile del passeggero della Corolla di Kam. Alla radio trasmettono "This time It's Different" degli Evans Blue.

La testa viaggia, aggrappandosi a quelle parole che non potrebbero descrivere meglio la mia esistenza, specie in questo pezzo che sembra tempestarmi le tempie: "Sento voci dalle ombre dentro di me" ... e cazzo se è così.

«Andrà bene», tenta di dire Kam, guardando ora me, ora la strada. Ghigno.

«Andrà bene?», tuono aggrottando la fronte, mentre assottiglio lo sguardo verso di lui. «Allyson è in un cazzo di letto di ospedale, ha rischiato di morire e...», mi blocco, cercando di mandare giù il groppo che tenta di soffocarmi. "Joselyn" penso, e sento il cuore lacerarsi.

Non riesco ancora a crederci, è impossibile che sia morta, il suo corpo vive solo tramite le macchine, ma lei... lei non è più su questa terra.

I suoi occhi da cerbiatta mi piombano nella mente, come un treno in corsa che mi travolge, insieme alla sua voce, che mi salutava per la prima volta dopo due anni, di fronte al campus della Tufts. «Lei è morta, porca puttana!», grido tenendomi la testa tra le mani.

Il corpo prende a tremare, fuori dal mio controllo, e la bile mi sale in gola. «Ferma...», biascico. «Ferma questa cazzo di macchina!», sbraito. Kam accosta sul ciglio della strada, spalanco di fretta la portiera e schizzo fuori. Mi aggrappo al guardrail, come se potessi sprofondare da un momento all'altro, e rigetto quel poco che ho nello stomaco. I ricordi si susseguono uno dopo l'altro: la festa da Bret, la sua prima volta nella mia stanza, tutte le volte che me la sono portata a letto per cercare di dimenticare Allyson... è tutto qui dentro, mi accecano di paura e senso di colpa, la tempia pulsa e la nausea aumenta.

«Damon, stai bene?», la voce di Kam mi arriva ovattata alle spalle, mentre tento di riprendere contatto con la realtà, seppellendo il mio passato esattamente dov'era, insieme a tutto lo schifo che ho lasciato sparso in quella città maledetta.

«No... no, non sto bene!», ammetto monocorde, passandomi il dorso della mano sulla bocca, mentre cerco di regolarizzare il respiro, sentendo l'aria che si dissipa tutta attorno.

Me la prendo con il destino, con una vita che fa schifo, ma la verità è solo una.

Sto pagando, sì, sto scontando le colpe del Demone che regnava indisturbato nel mio corpo.

La persona vuota che non conosceva sentimenti e a cui non fotteva un cazzo di nessuno, se non di sé stesso. Ecco cosa sta succedendo.

Anzi, cosa sta capitando a chi si è avvicinato alla mia anima dannata, che bramava solo di nutrirsi delle sofferenze altrui. Giocavo.

Ho giocato con ciascuno di loro, senza alcuna pietà, e se non fosse per Allyson, so esattamente che sarei sepolto sottoterra da mesi. «Ha ragione la madre di Joselyn...», trattengo il fiato, mentre sento ancora le sue grida che mi accusavano, attanagliarmi il cervello. «È tutta colpa mia», mormoro, disgustato da me stesso, con lo sguardo che vaga sulle distese di terreno che fiancheggiano la strada. Kam si staglia prepotente di fronte ai miei occhi, obbligandomi a guardarlo.

UN AMORE PROIBITO- PER SEMPRE NOIWhere stories live. Discover now