Capitolo 9 Damon

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Gli occhi si riducono a due fessure mentre la vedo chinarsi e raccogliere la scatola dal pavimento. I singhiozzi rimbombano nelle mie orecchie mentre scuoto il capo, poi faccio un passo verso di lei, scrutando le sue mani tremanti che stringono quella maledetta scatola.

«Non... non volevo...», biascica.

«Cosa?», tuono. «Potevi rischiare di restare incinta e ti sei presa una fottuta pillola per non esserlo. Ti rendi conto?», ringhio senza respiro.

Il petto brucia mentre il cuore martella e credo che possa quasi esplodermi.

Il suo volto si solleva per incontrare il mio.

«Sono stata una stupida, ho saltato tre pillole e, con tutto quello che stai affrontando, un altro bambino avrebbe reso le cose solo più complicate!», urla tirandosi in piedi, poi mi oltrepassa per dirigersi in camera, dove la seguo.

«Complicato?», ripeto. «Hai pensato che forse avevo tutto il cazzo di diritto di saperlo? Di decidere anche io che cosa volevo?», ringhio additandola, allo stesso tempo che tira fuori dai cassetti la biancheria per vestirsi. Si ferma, con le mani aggrappate al mobile, e si volta verso di me.

«Damon, guardaci...», indica prima me, poi sé stessa. «Abbiamo vent'anni... stai per diventare padre e stai affrontando un processo per ottenere la custodia di quella bambina», sibila tra i denti, le lacrime solcano violente le sue guance fino a perdersi a terra, dove il suono impercettibile sembra riuscire a crearmi una voragine nel petto.

«Non ha importanza quanti cazzo di anni abbiamo o ciò che stiamo passando. Porca puttana, Allyson, si tratta di me e di te». Non riesco a placare la rabbia e la delusione che sento mischiarsi e avvolgere il mio corpo.

«Cosa vuoi da me, Damon?», sbraita sollevando le braccia al cielo, come se fosse stanca, sfinita.

«Forse avrei solo voluto scegliere, ma hai pensato a tutto tu. Non è vero, Al?», le mani raggiungo il suo volto, cancellando altre lacrime, mentre io non riesco a fare un solo passo, sono inchiodato a questo fottuto pavimento. Non abbiamo avuto il tempo di parlare di figli, ma se c'è una cosa che so con certezza è che vorrei avere tutto da lei. Non mi importa ciò che ci circonda adesso o se ho solo vent'anni, non mi importa un emerito cazzo quando si tratta di lei, l'unica ragione per cui ogni mattina mi sveglio, felice di avere ancora una vita da vivere.

«Non puoi accusarmi, Damon, non lo puoi fare... ero spaventata... e...», abbozzo un ghigno.

«E troppo impegnata a tenermelo nascosto. Ora capisco perché eri così strana in questi giorni. Non c'entrava un cazzo il processo...», mi dirigo verso l'armadio, lo apro e prendo la sacca; ci infilo alla rinfusa un asciugamano, un paio di pantaloni della tuta, la felpa e lo richiudo.

«Dove... dove vai?», chiede sprofondando a sedere sul letto, le scocco un'occhiata. Metto la sacca sulla spalla.

«A schiarirmi le idee», rispondo, avviandomi a gran passo verso la porta.

«Non abbiamo ancora finito di parlare», dice strascicando le parole. Mi fermo sulla soglia restando di spalle.

«Vuoi davvero parlare ora, Evans?», mi volto appena, guardandola da sopra la mia spalla; i suoi occhi si spalancano di terrore mentre il mio sguardo truce la trapassa, come una lancia infuocata che le marchia addosso il ricordo del passato, con la stessa intensità con la quale cercavo di proteggere me stesso da qualcosa che non conoscevo ancora... lei. «Hai avuto tutto il tempo per parlare, ora non ho niente da dirti», esco nel corridoio e poco prima di raggiungere il portone, esclamo ad alta voce: «Non aspettarmi alzata!». Quando sono sul pianerottolo mi piego in avanti, posando le mani sopra le ginocchia. Cerco di regolarizzare il respiro, di liberare la mente, ma è tutto inutile. Scendo di corsa le scale mentre la porta si spalanca alle mie spalle.

UN AMORE PROIBITO- PER SEMPRE NOIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora