Bluvaganti e saette: miscela mortale

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Prima di girare l'angolo ci accordammo per uno schema a rastrello: 33 al centro, dietro di lui il guastatore e noi ai fianchi di 33, disposti in linea orizzontale. Questo ci garantiva sicurezza ai lati e le spalle sicure per un eventuale ritirata. Il guastatore non lo avevo notato prima di allora, era sempre rimasto in coda al gruppo ma il grosso zaino era un simbolo inequivocabile. Uno zaino nero e sporco di polvere da cui estrasse un paio di cesoie affilate, pronte per rompere i sigilli della stazione di rifornimento. Ero in panico ancor prima di cominciare, il respiro era irregolare e per un combattimento così ampio non sapevo come muovermi o lottare ma non avevo più tempo per pensarci, o noi o loro. Il vantaggio dell'alba (quando il sole era ancora basso) e l'effetto sorpresa erano ormai inutili. Troppi i vaganti e troppa la distanza tra noi e loro. Uscimmo dal vicolo con le armi già in pugno, a testa alta e di corsa, preparandoci al peggio e sperando di uscirne, vittoriosi o meno, con almeno metà squadra viva. I vaganti avevano preso il controllo delle strade, svegliati dal sole già sorto, strascicando i piedi e rantolando. Noi eravamo pronti a travolgerli, e ciò avvenne. I primi dieci vaganti che incontrammo non si accorsero nemmeno di noi e li trafiggemmo senza fermarci a controllare se fossero morti del tutto. Di tempo ne avevamo veramente poco. L'impatto col secondo gruppo di mostri, molto più numeroso di quello precedente, fu molto brusco e in un primo momento bloccò la nostra avanzata. Non pensavo, non riuscivo a pensare, travolto dal terrore, in mezzo a quella folla di vaganti. Era una lotta disperata dove ogni fendente, se scagliato male, poteva essere l'ultimo. Oltre alla propria vita si doveva pensare a coprire le spalle ai propri compagni, nella mia stessa situazione. L'impatto iniziale, che sbaragliò le prime file di vaganti, ora veniva sempre più rallentata da orde attirate dal frastuono della battaglia. Durante uno dei tanti scontri, qualcosa si attaccò al mio parastinchi sinistro. Vidi con orrore e spavento che uno dei vaganti si era attaccato con i denti alla mia protezione mentre cercava di affondare sempre più nel metallo. Prima che quell'essere riuscisse a masticare la mia carne riuscii a tirargli un calcio alla testa, allontanandolo dalla mia gamba, per finirlo poi con un colpo di machete sul cranio, che squarciò la sua testa ormai decomposta, facendo schizzare la brodaglia nera sulla mia corazza. Rimasi stupito dai segni lasciati da quella bestia: i solchi lasciati dai denti erano calcati, abbastanza da rigare profondamente il metallo e dove non c'erano i segni del morso qualche dente era stato lasciato dalle gengive sul parastinchi. Già dopo primi colpi messi a segno la fatica si faceva sentire, assieme agli arti mutilati dei vaganti sotto i nostri piedi, piedi che avanzavano a passo sempre più lento. Ormai a corto di forze, ci accorgemmo che la strada percorsa per arrivare al benzinaio era solo metà. Il rumore delle lame contro i corpi morti diminuiva di frequenza, diminuiva di intensità, assieme alle nostre speranze di rimanere ancora in vita. "Forza! Muoviamoci, non possiamo ritirarci proprio ora!" urlò 33, cercando di sovrastare i versi di tutti quei mostri.

Riuscimmo a fare un ultimo, disperato sforzo suicida, affrontandoli senza alcuna pietà con calci, spintoni e pugni attraversando una grossa orda di vaganti. La formazione non contava più niente. L'asfalto aveva lasciato il posto ad un sottile strato di liquido infetto, sudore, arti e corpi. Feci fatica a non inciampare o cadere in mezzo a quel macello. Ormai ad una decina di metri dal cancello i vaganti si raccolsero alle nostre spalle, non potevamo più tornare indietro. Non pensavo più a rischiare di poter morire. Se non avessimo aperto quel cazzo di cancello saremmo stati sicuramente divorati. Miracolosamente raggiungemmo il cancello della stazione di benzina, creando un perimetro e lasciando spazio al guastatore. "2 minuti ragazzi" disse il guastatore mentre sistemava le cesoie sul lucchetto. Ormai i vaganti arrivavano anche dalle strade limitrofi rantolando e gemendo verso la nostra posizione. Il perimetro attorno al cancello si faceva sempre più stretto, tanto da non poter più avere spazio di manovra con i machete e le spranghe. Tutti rinfoderarono le armi troppo lunghe da poter essere usate e presero in mano tirapugni, catene e anche dei martelli. Dallo zaino tirai fuori il coltello da cucina che mi aveva accompagnato sin dal mio risveglio. Forse l'avrei utilizzato un'ultima volta. L'unica cosa a tenere a bada quelle creature era la nostra determinazione, associata al fatto di non avere altre soluzioni. Mi ronzava la testa, sentivo il petto scoppiare a causa del battito cardiaco che aveva raggiunto ritmi allarmanti. Gli occhi non vedevano altro che vaganti attorno a me, come chiazze di inchiostro sfumate dalla frenesia del momento. Non pensavo più neanche a combattere, il mio corpo faceva tutto da solo e la mente si dissociò per un breve secondo dal fisico. Nel disordine generale, un vagante mi prese l'avambraccio con la sua mano, riuscii a sentire il palmo freddo e grinzoso, la sua cute ruvida e secca e il tremore che lo pervadeva. Tornai in me e provai a dimenarmi ma la sua presa era salda. Allora afferrai il colletto della sua camicia, tirando con forza verso di me il muso della bestia e conficcai freneticamente il coltello nella gola di quel bastardo, guardandolo dritto nelle pupille nere come la pece, mentre mollava la presa e cadeva a terra sopra ai suoi simili.

B come BluvagantiWhere stories live. Discover now