95- L'uomo

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C'era un uomo nella città dove sono nato.

Sembrava un uomo come tanti, nulla di particolare.

Stava fermo sulla panchina di un bar per intere giornate.

Era tranquillo, talvolta fumava.

Non aveva mai fatto nulla di male, restava solo fermo a fissare il vuoto fino al tramonto.

Qualcuno, tempo fa, ha provato a rivolgergli inutilmente la parola.

Era silenzioso, giravano voci di una grande sofferenza nella sua vita che lo avevano portato a quasi un totale mutismo.

Parlava, una volta al giorno, dopo il tramonto.

Pronunciava solo due parole, alzandosi dalla panchina per iniziare a girovagare per la città.

Lo vedevo tornando da scuola, non avevo mai udito quelle famose due parole.

Una sera però decisi di perder del tempo seduto al suo fianco, mi interessava il motivo del suo comportamento.

Una domanda, ripetuta più volte, che non ottenne mai risposta.

Provavo a parlargli, ma si ostinava a rimaner muto.

Il tramonto arrivò in fretta, allora lo vidi alzarsi e andare verso la ferrovia.

Sentii le due parole, erano: "Mi dispiace"

Lo seguii fino ai binari del treno, cercai di afferrarlo quando iniziò a correre contro il treno in arrivo a grande velocità.

Restai immobile a fissare il corpo dell'uomo pieno di sangue che veniva trascinato per i binari.

Prima di svenire, tutto quello che vidi fu una figura esile, pallida e giovane.

Una bambina evanescente, dal corpo mutilato e plasmatico in lacrime urlava come non avevo mai sentito urlare nessuno:

«Non è stata la tua distrazione a uccidermi»

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