QUATTORDICI

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Kate era tornata indietro sui suoi passi, facendo la strada a ritroso verso il distretto. Quello che aveva visto, fatto e lei stessa detto al parco l'aveva stordita: per la prima volta si era vista in altre vesti, in altro modo, si era vista madre. Eppure non lo era, perché non aveva mai fatto nulla per definirsi tale oltre al mettere al mondo una figlia che non aveva mai curato, ma dentro di se stava crescendo una consapevolezza che la faceva sentire forte e la spaventava allo stesso tempo. Joy era sua figlia, non era più un pensiero astratto era qualcosa che aveva metabolizzato ed era dentro di lei.

Arrivata a casa combattè il resto del pomeriggio contro la tentazione di chiamare Castle e chiedergli di Joy. Un lungo bagno, pensò, sarebbe stato il metodo migliore per provare a rilassarsi, ma fu inutile, ripercorreva ogni istante trascorso con Joy, da quando l'aveva vista nascosta nell'armadio a quell'abbraccio che le aveva regalato prima di andare a casa con Castle. Quel pensiero era una droga nella sua mente.

Aveva buttato l'accappatoio in un angolo della camera e stava cercando una t-shirt da mettersi, a New York faceva già molto caldo e prima o poi avrebbe dovuto cedere e far installare anche a casa l'aria condizionata: non aveva mai sofferto troppo il caldo, ma quei giorni era insofferente a tutto. Si guardò allo specchio, vide quel suo vecchio tatuaggio, poco sopra l'inguine, quella farfalla maori fatta a sedici anni come segno di ribellione, in un posto che se ci ripensava si chiedeva come aveva fatto a non prendersi qualche brutta malattia. Ricordò perfettamente la lunga ramanzina di sua madre quando lo scoprì e le sue urla che le avevano sicuramente sentite anche i vicini, i silenzi severi di suo padre che quella volta non aveva nessuna intenzione di giustificarla, non tanto per il tatuaggio, quando per la scelta scellerata di un posto non sicuro per la sua salute. Era comunque ben fatto e trovò strano che le piacesse ancora, nonostante fosse cambiata così tanto. Capì in quel momento cosa avrebbe regalato a Joy. Anche lei amava le farfalle, le aveva disegnate appena arrivata al distretto, non doveva essere un caso.

Infilò la prima maglietta presa nell'armadio e poi aprì il suo portagioie. In un sacchetto c'era una collanina di oro bianco dalla quale alla fine pendeva una farfallina con le ali traforate, simile a quella del suo tatuaggio. Ricordava esattamente da quando ce l'aveva, ricordava quando l'aveva vista in una vetrina e che tutte le volte che passava davanti la guardava. Ricordava quando Johanna le aveva dato quel sacchettino blu e lei fece scivolare sulla sua mano quel ciondolo. Ricordava gli occhi di sua madre che ridevano della sua espressione stupita e felice. Aveva anche lei poco più di dieci anni e l'aveva sempre portata al collo. Era quella che aveva fatto vedere al tatuatore quando aveva dovuto scegliere di corsa un disegno, era quella che non si era mai tolta fino a quando sua madre non era morta. Poi l'aveva chiusa lì, insieme a tutti i ricordi felici ed ora indossava sempre al collo il suo anello, per ricordarsi quello che in ogni caso non avrebbe mai potuto dimenticare. Joy non avrebbe mai saputo il significato di quel regalo, nessuno lo avrebbe mai saputo, ma per lei era importante che fosse sua figlia, ora, ad averla.

Il suono del cellulare interruppe i suoi ricordi. Fece un respiro profondo, pronta a tornare al distretto, ma quando vide il numero il cuore sobbalzò ancora di più: era Castle. Perché la stava chiamando a quell'ora?

Rispose cercando di nascondere la sua agitazione, magari voleva solo confermarle l'orario per la domenica, perché doveva pensare al peggio?

- Beckett!

- Ehy ciao sono io, sono Castle, ti disturbo? - Kate non voleva pensare sempre al peggio, ma la voce ed il modo di parlare di Rick non tranquillizzarono per niente.

- No, Castle figurati. Tutto bene?

- Sì, cioè no. Insomma...

Lo sentì prendere un respiro ed il rumore di una porta che si chiudeva. Lei si sedette sul letto pronta ad ascoltarlo.

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