1.L'arrivo

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Era un giorno di sole. Uno come tutti gli altri. Una donna era alla guida di una macchina grigia, piccola ma comoda.
Guidava con un sorriso stampato sul volto, come sempre. I capelli legati in una treccia castana e con indosso un vestito a motivi floreali. Nei suoi occhi, nonostante il sorriso, si stanziava una certa nota di nostalgia.
Sui sedili posteriori sedeva un bambino sui 10 anni. I capelli corvini coprivano gli occhi grigi, segnati da due lievi occhiaie. La magliettina nera con lo scheletro era spiegazzata per la posizione strana che aveva assunto. Il giubbottino di pelle era piegato e messo da parte e le converse nere erano slacciate.
La voce della donna ruppe il silenzio che si era creato da qualche minuto.

<<Amore, siamo quasi arrivati.>>

Il bambino non rispose. Si limitò a guardare fuori dalla finestra.

<<Allacciati le scarpe e metti il giubbotto. Fa abbastanza freddo fuori.>>

Il piccolo ubbidì, senza dire nulla.

<<Sei felice? Conoscerai nuova gente!>>

<<Sì...>>

Non era vero. Aveva sempre avuto difficoltà a fare amicizie, a causa del suo brutto carattere. Non voleva troppa gente intorno, semplicemente perché non voleva affezionarvisi troppo.

La donna fermò la macchina.
Scesero entrambi dal veicolo e si sentì il BIP della chiusura dell'auto.
Si diressero verso la foresta, seguendo un sentiero.
Il bambino stringeva forte la mano della madre, come se volesse restare con lei per sempre.
Si fermarono davanti ad un arco altissimo, all'apparenza molto antico.

<<C-camp...half...blood...?>>

<<Sei riuscito a leggerlo? Bravo! Su ora vai. Io non posso entrarci. Lì starai bene, vedrai.>>

Il bambino non si mosse e strinse ancora di più la mano della madre.

<<Tesoro...su. Dai un bacio alla mamma e poi vai.>>

Alzò gli occhi e la guardò.

<<Ci rivedremo, vero?>>

<<Certo! Forza vai.>>

La madre diede un bacio sulla testa al figlio e se ne andò.
Lui rimase lì a fissare quell'enorme struttura, indeciso se entrare o raggiungere la madre all'auto.
Non ci voleva andare, ma allo stesso tempo era curioso di vedere cosa sarebbe successo se avesse attraversato quell'arco.
Decise di entrare.
Appena superato l'arco, si ritrovò davanti un vero e proprio villaggio.

<<Wow...>>

Un grande prato si estendeva davanti a lui. Sulla sinistra c'erano diverse cabine, con dei numeri incisi sulle porte. Su ogni porta c'era il nome di un dio. Sulla destra c'erano diversi tavoli, molto probabilmente per il pranzo. C'erano bambini e ragazzi che correvano o si allenavano con le spade. Vide arrivare verso di lui un ragazzo poco più grande di lui, avrà avuto 13-14 anni.

<<Ehi, piccoletto, che ci fai qui tutto solo?>>

<<Sono...sono nuovo...>>
Rispose, giocherellando nervosamente con la manica del giubbotto.

<<Oh...da dove vieni?>>

<<Dall'Italia. Sono di Venezia.>>

<<Wow, Venezia! Che figata! Di chi sei figlio?>>

<<Di...Ade...>>

Il ragazzo sbarrò gli occhi.

<<D-di chi?>>

<<Di Ade.>>

<<A-a-ah...ca-capisco...beh ehm allora ci vediamo...c-ciao.>>

<<E-ehi aspetta! Ho bisogno di->>

Il ragazzino andò via.

<<...informazioni...>> finì la frase.

Andò verso le cabine e iniziò a studiarle una ad una. Per quanto aveva capito, tutti i ragazzi con lo stesso genitore divino vivevano nella stessa cabina.
Si ricordò di quando aveva scoperto di essere un semidio. Non si sarebbe mai immaginato di essere figlio di Ade.
Ripensò al ragazzo. Perché aveva avuto quella strana reazione nei suoi confronti? Aveva paura? O era solo timido?
Era molto che gironzolava e le gambe iniziavano a fargli male. Decise di sedersi. Si sedette alle spalle di una cabina e portò le ginocchia al petto, stringendole.
Non sapeva cosa fare, si sentiva solo e non aveva il coraggio di chiedere a qualcuno informazioni. Era troppo timido.
Sentì delle risatine e nascose ancora di più la faccia tra le ginocchia.
Sentì dei passi leggeri arrivare verso di lui, ma non si preoccupò di alzare lo sguardo.
D'improvviso sentì un calore strano farsi sempre più forte.
Poi sentì una voce.

<<Ehi! Ciao!>>

A quel punto alzò lo sguardo. Vicino a lui era seduto un bambino che sembrava avere la sua stessa età.
Aveva la pelle abbronzata, tempestata da una miriade di lentiggini. I capelli erano di un biondo chiaro e pieni di ricci. I suoi occhi azzurri erano molto vivaci e il suo sorriso sprizzava di gioia.

<<C-ciao...>>

<<Come ti chiami?>>

<<Nico...Nico di Angelo.>>

<<Oh, allora ciao Nico! Sei nuovo qui? Di chi sei figlio?>>

<<Sì, sono nuovo...sono figlio di Ade...>>

<<Di Ade?!! Oddei il primo figlio di Ade! Senti, ti va di essere amici?>>

<<S-sí, si, va bene.>>

<<Beh allora piacere, nuovo amico! Io mi chiamo Will Solace! Sono figlio di Apollo.>>

Nico gli sorrise, senza aggiungere altro.

<<Sei molto silenzioso. Cosa c'è che non va?>>

<<Niente, sono così da sempre.>>

<<Mmhh...no no no, non va bene! Su vieni a giocare con noi!>>

<<Uhm...no, non fa niente.>>

Will si alzò, pulendosi i pantaloncini beige con le mani. Gliene porse una.

<<Forza. Siamo amici! Non ti mordo mica, hahahahaha.>>

Nico rise nervosamente. Era troppo solare per lui. Ma gli prese comunque la mano e si alzò, pulendosi i pantaloni.

Seguì Will verso la parte anteriore della cabina e vide un gruppo di ragazzini che parlavano tra loro.

<<Ragazzi, vi presento il mio nuovo amico. Si chiama Nico, è il primo figlio di Ade del campo! Non è grandioso?>>

Una ragazzina dalla pelle scura, con una chioma riccia si avvicinò a lui.

<<Io sono Hazel. Piacere di conoscerti.>>

Dopo quel gesto anche altri si fecero avanti.

<<Io sono Piper.>>

<<Io Jason!>>

<<Io mi chiamo Annabeth.>>

<<E io sono Percy!>>

Nico li guardò uno ad uno. Poi gli rivolse un sorriso imbarazzato. Solo dopo si ricordò che Will gli stringeva ancora la mano.

Hazel si fece avanti e lo guardò.

<<Ehi, sei così pallido. E così magro. Hai mangiato?>>

<<Veramente no...>>

Will lo guardò con gli occhi spalancati.

<<Cooooosa?! Vieni con me!>>

Lo seguì. Per tutto il tragitto continuò a guardarlo, mentre il biondino lo tirava per un braccio.

È proprio strano pensò.

Quel giorno - SolangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora