33. Una serata da Corgi

157 19 1
                                    

Non ho mai capito se è una mia particolare debolezza o se capita spesso a tutti di approvare un'idea che in realtà è assolutamente assurda solo per non offendere o mettere in difficoltà la persona che l'ha proposta. Noto con inquietudine che mi capita sempre più spesso. Forse non ho abbastanza carattere e sono terrorizzato che la gente mi odi. Forse mi piace l'idea di aiutare il prossimo, anche se poi mi invischio in faccende che non mi riguardano e voglio solo piangere. Forse ancora sono solo un cretino.

Valuto attentamente le tre opzioni mentre ascolto l'assolo di Melody, che ha deciso di cimentarsi con una delle sue canzoni preferite, Wide Awake. Osservo di sottecchi Jacob, che è impegnato a controllare ingrugnito una corda del suo violino. Non è di buon umore, questo è poco ma sicuro. La richiesta del figlio deve avergli generato non poca irritazione. L'ho capito fin da subito, da quando ha deciso di non seguire le decisioni degli altri e di improvvisare come un bambino capriccioso. Alla fine Margarita si è stancata del suo comportamento e l'ha messo in castigo, perché faccia suonare gli altri. Non ho avuto nulla da ridere in proposito.  

"Bene, ragazzi." Dico, quando Melody ha terminato, ricevendo gli applausi di tutti tranne dell'ebreo immusonito. "Per oggi abbiamo finito."

"Era ora." Brontola Jacob, mentre sistema il violino nella sua custodia. I suoi amici capiscono che non conviene aspettarlo a meno che non si voglia ricevere qualche sarcastica frecciatina gratuita, così mi salutano e lentamente escono. L'unica che rimane sulla porta, avvolta nel suo leggero scialle rosso e crema, è Marge. 

"Oggi hai la stessa simpatia del mio secondo genero." Gli comunica. "Quello che mangiava i cioccolatini di mia nipote e poi dava la colpa a me."

Jacob sbuffa e Margarita si stringe nelle spalle con un sospiro. "Fai come vuoi, vecchio sionista."

Si volta e se ne va, probabilmente seguendo il Generale a cui sicuramente servirà una mano per scendere dall'ascensore che porta alle camere del piano superiore. Il signor Jacobson chiude con stizza la custodia nera del violino e si alza un po' troppo velocemente, tanto che subito guaisce e si porta una mano alla schiena.

"Maledetta giornata." Ringhia, girandosi piano verso la porta con tutta l'intenzione di superarmi senza degnarmi di uno sguardo e ritirarsi nel suo eremo a meditare su quanto il mondo si diverta a farlo innervosire. Capisco che sta per sfuggirmi di mano e perciò, prima che la sua pantofola possa superare la soglia della saletta, lo chiamo. "Jacob, posso parlarti un secondo."

"No." Risponde lui, senza voltarsi. Chissà come mai non mi aspettavo una risposta differente.

"Sulle scale ho incontrato tuo figlio e..."

"Hai improvvisamente disimparato l'inglese, cinesino?" Mi interrompe lui sferzante, lanciandomi un'occhiata da sopra la spalla. "Cosa non hai capito del mio no?" 

Lo conosco da abbastanza tempo che fa così per convincermi a desistere, non ha molte altre frecce al suo arco se non una lingua particolarmente tagliente. Sostengo tranquillo il suo sguardo e ribatto: "O forse non parlo aramaico."

"Infatti io so l'ebraico, goy." Risponde Jacob con una smorfia di disappunto. "Aramaico? Ma hai fatto almeno le elementari?"

"Tuo figlio mi ha fermato sulle scale" riprendo il discorso, sperando di coglierlo di sorpresa, "per cercare la causa del tuo rifiuto di suonare alla festa di tua nipote."

Il mio vecchietto più acido rimane per un secondo interdetto e quasi non mi sembra vero di averlo zittito. Quasi. 

"Gabriel è sempre stato un marmocchietto petulante." Dice, a mo' di scusa. "Petulante e chiacchierone. Dimenticati quello che ti ha detto."

Joy I call Lifeحيث تعيش القصص. اكتشف الآن