36. Cina - Polonia: 0-1

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Serafina, nella sua infinita magnanimità, mi concede una mattinata libera per svolgere l'ingrato compito che io stesso mi sono affibbiato. Manca un solo giorno all'arrivo di Anthea e mi sento sufficientemente carico per fronteggiare una chimera come Tanya. Almeno spero. 

Il dipartimento di biologia della New York University si trova nel Greenwich Village, a due passi dal Washington Square Park. Non è la prima volta che ci entro, soprattutto perché spesso e volentieri Ruben si dimentica il pranzo a casa e qualcuno deve passare a portarglielo.

"Ti ricordi dove sta?" Mi chiede, varcando le porte dell'edificio principale, dove una guardia ci rivolge uno sguardo interrogatorio e subito si ammansisce quando nota il cartellino appeso al collo di Ruben.

"Non ho intenzione di salire con te." Gli rispondo. "L'aspetto qui. Tanto siamo in anticipo."

Ruben è terribilmente nervoso. Continua a torturare la sua tracolla come se fosse una specie di portafortuna: pizzica il tessuto spesso delle cinghie producendo un suono fastidioso, di pluriball scoppiato.

"Tranquillo." Rimarco. "La porto a bere un caffè e le parlo."

"Non dirle che te l'ho chiesto io di farlo."

Non oso ricordargli che Tanya non è stupida e se mi vede comparire all'ingresso del suo dipartimento con il mio miglior sorriso e l'offerta di una colazione, capirà di certo che non mi sono svegliato semplicemente con il profondo desiderio di vederla.

"Okay, tranquillo. Non lo saprà."

Fa un ampio respiro e smette di torturare la tracolla. Comincia direttamente ad aprire e chiudere i pugni, come un bambino nervoso prima di un'interrogazione. Gli poso un indice tra le scapole e lo sospingo.

"Vai su a lavorare. Ci vediamo dopo. Magari a pranzo, eh?"

"Sì, sì. Va bene. Sam e io mangiamo al parco oggi. Se vuoi venire."

"Va bene. A dopo."

Ruben se ne va verso gli ascensori che lo condurranno al suo piano e io rimango all'ingresso, cercando di non guardare negli occhi la guardia, che sicuramente sta valutando il mio grado di pericolosità. Dondolo per un paio di volte sui talloni delle Converse e poi controllo il cellulare ostentando indifferenza. In realtà ho il cuore a mille, sono in botta d'adrenalina e sull'orlo di una risata isterica perché tutta questa ansia deriva dal fatto di parlare con una persona come Tanya.

Ancora prima di vederla, la sento.

"La gente deve capire che prima di guardare il loro lavoro, io devo pensare al mio. Quindi quelli di micro possono prendere la loro richiesta e infilarsela su per il culo."

Tanya ha sempre avuto una voce squillante, ma non frivola. Fa solo molto paura perché sembra urlare sempre. Infatti odo le sue parole anche se è ancora ben oltre le porte del dipartimento, ma almeno ho il tempo di prepararmi. Sfodero il mio miglior sorriso sereno, cerco di apparire pimpante al punto giusto e attendo. Prima di tutto noto la sua interlocutrice - Sam - poi lei. Sam ha la faccia di una che preferirebbe essere ancora a letto piuttosto che ascoltare un'agguerrita collega di prima mattina e appena mi vede un enorme punto di domanda le si disegna in fronte. Tanya non si accorge subito della mia presenza: è tutta impegnata a rovistare nella sua enorme borsa rosso geranio.

All'apparenza nessuno direbbe che la signorina Brodnicki possa corrispondere per davvero alla descrizione poco lusinghiera che tutti fanno di lei. È una donna piccina e tarchiata, con tanto seno, gambe corte e un visino dolce dolce. Porta gli occhiali da vista - rettangolari con la montatura fucsia - ed è tinta di biondo platino. Ha quel tipico volto che si può solo associare a una vicina di casa che prepara i dolci per tutta la via e sfama colonie feline nel suo appartamento. Di sicuro sembra tutto tranne il capo di un laboratorio di proteomica e il mostro che terrorizza Ruben. Eppure. 

Joy I call LifeWhere stories live. Discover now