23. Gioco di sguardi

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Le settimane successive furono meno pesanti, il lavoro procedeva a gonfie vele. Ero riuscita a realizzare ben tre vestitini. L'amica di Norah era una signora a modo, molto elegante e con uno spiccato senso della moda. Riusciva a notare tutti i dettagli più fini e a consigliarmi lì dove stavo commettendo errori. Ogni giorno imparavo nozioni nuove, acquisivo conoscenze sulle riparazioni e altri lavoretti che non avevo mai svolto prima di allora.

La mamma mi aveva spedito la mia macchina da cucire personale e questo mi aveva permesso di svolgere altri capi extra. Avevo tante idee e così, puntualmente, finivo per passare le giornate sul mio lavoro e sui modelli da disegnare e realizzare in futuro.

Anche il rapporto con Louise migliorò e iniziai a sentirla sul serio come una zia. Ben diverso era il legame che avevo con Nathan, lo vedevo ancora come uno sconosciuto. Lui era molto simile a me, introverso e timido. Yvonne invece era diventata come un'amica. Una piacevole compagnia che però non poteva sostituire il mio Steven.

Non c'era giorno in cui non pensassi a lui. Per lunghi anni era stato il mio unico amico, saperlo così lontano e innamorato di me mi faceva soffrire.

E poi c'era Mathieu...

Con lui le cose erano cambiate, non discutevamo più, si limitava a ignorarmi, come se fossi un fantasma o un oggetto da spostare al suo passaggio. Non riuscivo proprio a capirlo, né lui e né me. Spesso mi era ricapitato di perdermi nei suoi occhi scuri, su due nei all'altezza della guancia sinistra. Quando ero più coraggiosa, scendevo verso le sue labbra rosee. Erano due labbra normali, due labbra che mettevano in risalto il suo mento quadrato e altri nei più piccoli sulla mascella e lungo il collo pallido.

Avevo notato di lui che il suo tono di voce era sempre un po' apatico, quasi come se volesse evadere da ogni tipo di discorso, come se fosse un'immensa fatica anche solo pronunciare una singola parola. Eppure qualcosa mi diceva che dentro ai suoi silenzi si nascondeva un mondo da scoprire...

 Eppure qualcosa mi diceva che dentro ai suoi silenzi si nascondeva un mondo da scoprire

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«Belle, la cena è pronta» pronunciò Louise sull'uscio della mia camera.

«Arrivo subito!» affermai sentendomi un po' affamata e con gli occhi che mi bruciavano.

Avevo trascorso una parte del pomeriggio a disegnare nuovi modelli e l'altra a leggere un fumetto che aveva come protagonista una sarta che, come me, sognava di diventare una stilista. Daphne mi aveva fatto compagnia tutto il tempo, la sua era una compagnia silenziosa e rassicurante. Averla a fianco, mentre disegnavo o leggevo, mi faceva sentire come a casa. Vivevo in una delle metropoli più grandi e belle del mondo, ma Portland mi mancava.

Per sopperire a quella mancanza avrei potuto distrarmi, visitare Manhattan o gli altri distretti di New York, ciò però significava farlo senza una compagnia. Vivere esperienze nuove da non poter condividere con nessuno. In quell'istante desiderai tanto essere come quelle persone che viaggiano sole, libere e indipendenti da ogni timore. Già avrei voluto essere forte per poter fare quello che mi passava per la testa, spericolata abbastanza per non dover ogni volta soppesare i rischi. Sospirai, avrei voluto esserlo, ma non lo ero.

Raggiunsi Louise in cucina e l'aiutai a preparare la tavola.

«Che profumo...» dissi, guardando il forno spento. C'era del tacchino al limone con le patate novelle.

«Stasera avevo voglia di coccolare la mia famiglia» mormorò Louise, sfornando la teglia ancora fumante.

«Solo stasera?» le feci notare con ironia. «Da quando vivo con voi, avrò preso almeno due o tre chili.»

«Meglio, adesso sei ancora più bella, prima eri troppo magra» si lamentò la donna.

Nathan scoppiò a ridere, mentre Louise posò con un sorriso furbo la cena sul tavolo.

«Louise, Belle ha ragione, ci vizi troppo» confermò l'uomo.

Io e l'amica di mia madre ci accomodammo a tavola, Mathieu era seduto di fronte a me, concentrato sul cellulare. Mi allungai verso il centro per prendere la mia porzione di tacchino e con la coda dell'occhio vidi lo sguardo del ragazzo posarsi su di me.

Durante la cena, finii per assecondarlo in quel gioco silenzioso dove a entrambi piaceva lanciare occhiate furtive. Potevo percepire le sue iridi scure accarezzarmi di nascosto. Mi affascinava quella danza di sguardi, forse anche troppo, non riuscivo a respingere quell'attrazione. Era più forte di me, c'era qualcosa in lui che mi attirava come una calamita.

Mi detestavo per quello, insomma, non meritava le mie considerazioni, anche se negli ultimi giorni avevo visto nei suoi occhi una scintilla diversa, non governata dalla rabbia, ma dall'interesse e dalla paura. Avevo visto nelle pupille di entrambi riflessa la voglia di conoscersi, di superare le barriere che proteggevano le nostre anime.

Se solo non fosse stato così cinico e scontroso, forse avrei potuto abbassare le difese. No. Non potevo. Dovevo interrompere quel gioco che avevamo innescato, smetterla di illudermi che anche lui fosse interessato a conoscermi. Mathieu era ambiguo, misterioso, il suo umore cambiava di continuo, non potevo fidarmi di lui.

Dovevo concentrarmi sul mio lavoro, era quello il mio obiettivo principale e non preoccuparmi del ragazzo che avevo di fronte, dei suoi segreti e di quei maledetti occhi scuri e magnetici.

Quando tornai in camera, l'orologio segnava le dieci, sulle spalle percepivo la stanchezza dell'intera settimana lavorativa. Mi distesi sotto le coperte con ancora i vestiti addosso, Daphne era in parte, stava giocando con la sua pallina di legno. Presi dal comodino il fumetto che avevo letto nel pomeriggio e iniziai a sfogliare qualche pagina. Udii il mio vicino di stanza muoversi a passo pesante e svelto, non mi meravigliai, il venerdì e il mercoledì sera era solito uscire e tornare in tarda notte.

Finsi di non dare importanza a quello che l'istinto mi suggeriva, era una follia, quindi mi dedicai alle scene del fumetto, ma niente, la curiosità era più forte della mia ragione. Quando sentii la porta dello studio socchiudersi, mi alzai di scatto e uscii dalla mia camera. Incontrai Mathieu al centro del corridoio, si bloccò e mi fissò con perplessità.

«Devo... devo andare in bagno» farfugliai per giustificarmi.

«D'accordo» mormorò con tono sospettoso.

«Stai uscendo?»

«Sì, perché?»

«No, nulla... a domani» lo salutai e mi rifugiai nel bagno.

Forse non era molto normale da parte mia pensare di seguire quel ragazzo misterioso in piena notte, ma Louise era da tempo preoccupata per suo figlio e io volevo aiutarla.

Scossi la testa indecisa sul da farsi: la parte razionale di me stava lottando contro quella istintiva. Alla fine misi a tacere la ragione e mi ritrovai per strada, al buio e con il freddo autunnale a pungermi il viso. Stavo seguendo Mathieu proprio come avrebbe fatto un'investigatrice privata, a passi lenti, con il cappuccio della felpa che mi copriva la testa.

Quando il ragazzo si allontanò definitivamente da casa sua, mi sentii una stupida, dovevo ritornarmene indietro, prima che fosse tardi. Si inoltrò verso una strada stretta e illuminata da un paio di luci a neon, i lampioni erano spenti e l'unica cosa che la rendeva viva erano le voci allegre di alcuni ragazzi. Molti di loro dovevano essere ubriachi.

Vidi da lontano Mathieu fermarsi, rallentai anch'io il passo e mi nascosi dietro a dei passanti. Avevo il cuore in gola per l'agitazione. Il figlio di Louise salutò un ragazzo e assieme a lui entrò all'interno di un locale. Quella serata era appena iniziata e avevo solo due possibilità: proseguire il mio percorso oppure tornare a casa... 

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now