62. Scende la neve sul suo cuore - II Parte

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MATHIEU

«Che infame!» Vidi Belle uscire furiosa dall'ufficio di quell'uomo e dirigersi forsennata verso l'ascensore. «Era lui, ne sono sicura!» pronunciò con decisione. «Non mi sto sbagliando, le mie sensazioni non mi stanno ingannando» proseguì, guardandomi con i suoi occhi feriti, guardandomi come se cercasse in me conferme, ma non ne aveva bisogno.

«È lui...» le sussurrai con la voce graffiata dalla gola secca. Mi sentivo impotente perché non la stavo aiutando, l'avevo portata nella tana del lupo e avevo permesso a quel lupo di farle di nuovo del male.

Scendemmo giù, le porte dell'ascensore si aprirono, vidi attraverso le vetrate dell'ingresso le strade imbiancate dalla neve. Feci un sospiro per farmi forza, per dare sostegno alla ragazza accanto a me, la stessa che stava lottando con le unghie e con i denti per superare i suoi traumi, per realizzare il suo grande sogno. La stessa ragazza che in quell'istante camminava con la testa bassa, con gli occhi puntati sul pavimento, mentre una lacrima solitaria scivolava lungo le sue guance e infine si perdeva tra i suoi capelli dorati.

Uscimmo dall'edificio in silenzio, la neve iniziò a cadere fitta sulle nostre teste, un alito freddo investì il mio viso. Presi Belle per un braccio, prima che scivolasse a terra.

«Maledizione! Perché oggi non me ne va una buona?!» urlò, scalciando un pezzo di neve contro un'auto.

«Cerca di calmarti, non voglio più vederti piangere per quell'individuo.»

«Non puoi chiedermi di calmarmi, non puoi capire quanto sia difficile per me accettare di non essere nessuno per mio padre! Lui mi ha cancellata dalla sua vita in passato e continua a farlo.» Era nervosa e aveva la necessità di sfogarsi, potevo capire benissimo come ci si sentiva a essere rifiutati e potevo comprendere quella sua rabbia. «Ci ho provato a dargli un'altra possibilità, ma guarda come è andata a finire... Cosa ho concluso venendo qui oggi? Cosa credevo di poter ottenere da quell'uomo?»

Afferrai il suo viso e lo appoggiai sul mio petto, avvolgendo il resto del corpo con le mie braccia. Stavo tentando con dolcezza di proteggerla da quel dolore, di combattere con lei contro i fantasmi del suo passato.

«Mi dispiace» dissi, scusandomi per non aver lottato abbastanza, per non avere strappato dalla bocca di quel bastardo la verità.

«Vorrei piangere per liberarmi dal nodo che ho dentro, vorrei poter urlare, dire al mondo che mio padre fa schifo, ma non ci riesco, Mathieu...»

«E allora non farlo, quando arriverà il momento giusto potrai lasciarti andare, ma forse adesso non lo è» le feci notare.

«Portami a casa» implorarono le sue labbra sul mio petto, era sfinita, distrutta da quell'incontro.

«Lo vorrei tanto, ma non possiamo tornare a Brooklyn con questo tempaccio, metterei in pericolo entrambi» constatai. «Intanto entriamo in macchina e poi insieme cerchiamo un albergo, ti va?»

«Va bene» rispose, rassegnata. «Per ora mi basta allontanarmi da questo posto.»

Era ancora scossa, non le faceva bene provare tanto odio nei confronti del padre. La guidai verso la macchina, al riparo dal freddo e dagli occhi della gente. Tirai fuori il cellulare dalla tasca: avevo urgente bisogno di trovare un rifugio temporaneo dove poter trascorrere la notte, sperando che la tempesta di neve si placasse al mattino. Mentre cercavo un hotel nelle vicinanze, udii Belle singhiozzare; una morsa allo stomaco mi colpì, e abbandonai il telefono per qualche secondo.

La fissai, la sua figura fragile era avvolta in una giacca impregnata di neve e tristezza.

«Belle, stai bene?» chiesi, preoccupato, ma le parole sembrarono scivolare via nel silenzio.

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now