66. Quella ragazza di Wallingford

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Dopo la serata trascorsa con Mathieu, mi sentivo diversa, durante quella cena avevo capito di non voler essere un'amica per lui, ma allora cosa desideravo diventare? La sua ragazza? E come sarebbe andata a finire tra di noi dopo il suo imminente trasferimento?

Mi sforzavo di non pensarci, di non pensare a quanto fosse ancora instabile il nostro legame. Avevo il timore che con il suo trasferimento avremmo potuto perdere quel che c'era stato tra di noi in quei mesi. Di perdere le serate a parlare nelle nostre camere, a discutere sul nostro futuro, a scambiarci occhiate fugaci e carezze timide. Strette di mano e abbracci protettivi.

«Belle, cosa ti succede? Ancora Steven e Mathieu?»

Guardai Norah imbarazzata e solo allora mi resi conto che il foglio, su cui stavo disegnando il nuovo modello, era ancora bianco. Nervosa posai la matita sul tavolo, sentendomi leggermente stordita. Ma che avevo? Perché non stavo dedicando anima e corpo al mio lavoro?

«Scusami, non so cosa mi sia preso...»

«Non è tanto difficile intuirlo, a chi stai pensando? È lì che troverai la risposta.»

«A Mathieu...» confessai alla mia datrice, speravo davvero di trovare una risposta, perché francamente non stavo capendo più niente.

«Solo a lui stavi pensando?»

Quella domanda era a trabocchetto? Il suo sorriso voleva forse dirmi altro?

«Sì, ma tanto che importanza ha? Dovrei disegnare il nuovo modello e non pensare all'amore!» sbraitai, prendendomela anche con il foglio bianco. Lo accartocciai e lo allontanai dalla mia vista. In quel momento non ero in grado di disegnare.

«Se non pensi più al tuo amico, significa che il tuo cuore pende di più verso il batterista.» Norah tornò sul discorso, stava cercando di tirare fuori quello che mi impediva di prestare attenzione al mio lavoro.

Ragionai sulle sue parole, non mi sentivo di contraddirla, era la verità, in quei giorni avevo rimosso Steven dalla mia testa, non perché mi fossi rassegnata dopo la nostra ultima chiacchierata telefonica, ma solo ed esclusivamente perché quel che avvertivo per Mathieu pareva sovrastare tutto il resto.

«Probabile, ma non mi va di parlarne. Ho solo una settimana a disposizione per creare l'abito e non ho nemmeno uno schizzo tra le mani...» appurai amareggiata.

«Prova a sfogliare qualche libro d'arte, potrebbe esserti utile per trovare ispirazione.»

«Non ho libri d'arte qui a New York» risposi.

«Capisco, allora ti concedo la mattinata libera, qui a Manhattan c'è una delle biblioteche più belle degli Stati Uniti: la New York Public Library, l'hai già visitata? Ci andavo spesso negli anni dell'università, troverai un'infinità di libri e... potrai distrarti dal tuo bel batterista» disse con un sorriso scaltro.

La proposta di Norah mi allettava tantissimo, avevo sentito parlare diverse volte della maestosa biblioteca newyorchese. Forse sfogliare uno di quei libri poteva aiutarmi realmente a ritrovare la carica per disegnare i modelli e distogliere l'attenzione dai problemi di cuore.

«Però non saprei come arrivarci...»

«Tesoro, esistono le mappe, hai un cellulare: sfruttalo!»

Non mi piaceva tanto l'idea di andare in giro per New York senza compagnia, era risaputo che non avevo un buon senso dell'orientamento.

«Uhm... potrei usare il navigatore in effetti.» Lo sguardo di Norah mi fece capire quanto fossi stupidamente spaventata. Mi stava offrendo la mattinata libera per visitare una delle biblioteche più belle del mondo e io non volevo andarci per paura di perdermi. «D'accordo, ci vado!»

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now