Fic-Challenge

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Sono stata (di nuovo) taggata da Francesca_Cipher -.-"
Mi tagghi solo in challenge chilometriche, Fra? T^T
Taggo
itskadesgrant MAGS -3-
BlueGeranium BLUE -3-
Questa fiction parla di Evelyn, mia Oc. È un pezzo della sua storia.
LA FICTION VA FATTA IN TERZA PERSONA SU CHI VOLETE, CARE PERSONE TAGGATE.
La Fiction parlerà della Annlyn (AnnabethxEvelyn). . Esistono persone che ci shippano nonostante il nostro odio l'una per l'altra e il fatto che siamo entrambe fidanzate.
-_-

Caldo.
L'unica cosa che sentiva, che poteva sentire.
Represse un singhiozzo, sfregando i polsi contro le corde ruvide.
Il palo di legno rigido le dava fastidio in quella posizione, infiltrato tra le scapole, pieno di schegge pungenti.
Tossì ancora una volta, ancora una volta il sangue ricominciò a scorrere dalle cuciture incrostate della stessa sostanza secca.
Sapeva esattamente dov'era, pur non potendo vedere.
Nella sua testa c'era una mappa della piazza dove da piccola andava a giocare; alla sua sinistra il Municipio, così alto e imponente; alla sua destra la chiesa, altrettanto austera e frigida.
Nel mezzo, quello spiazzo di pietre incastrate tra loro, quel piccolo podio di legno pieno di fascine circondato dalla folla inneggiante.
Sì, quella gente urlava, reclamava, voleva qualcosa.
Cosa?
La sua morte.
La morte di Evelyn, la dolce Evie, la ragazza che portava i capelli corti e regalava i cioccolatini ai ragazzini del paese.
Evie, la ragazza che arrossiva appena le facevano un complimento.
Evie, la ragazza che portava vestiti di ogni colore tranne che rosa, perché odiava quel colore.
Evie, la ragazza denunciata come strega perché i suoi occhi non vedevano più.
Perché un pazzo maniaco li aveva cuciti.
Perché lei aveva lasciato che lo facesse.
Quindi chi era più pazzo? Più folle? Colui che l'aveva privata della vista o lei che l'aveva lasciato fare, quasi pregandolo, supplicandolo, perché lo facesse?

«...La morte di questa strega sarà la morte di tutte le streghe!» la folla urlò di nuovo, tra risate e scherni verso Evelyn. Probabilmente ella era vestita da sgualdrina, con gonna corta e camicetta ancora più corta, addirittura a scoprire l'ombelico, dato che sentiva del fresco nella zona della pancia.
Il discorso era sempre lo stesso, di quando era bambina e di quando era adolescente; o la folla se ne fregava o faceva finta di non saperlo oppure erano tutti una massa di imbecilli.
Evie era propensa verso la terza risposta.
Sfregò ancora i polsi, cercando di liberarsi dalla fune, ma il nodo era talmente stretti che cominciò a sentire la pelle graffiarsi e il sangue colare.
Un boato risalì dal pubblico; versi terrorizzati, grida, paura... che stava succedendo?
Evelyn smise di muoversi e si concentrò sulla sua mappa mentale del luogo; era cambiata.
Adesso, davanti alla folla, davanti al palco, davanti a lei, c'era un buco nero.
E, in piedi, i capelli scompigliati dal vento, una ragazza fissava il popolo con un'aria sconvolta. Chi era quella ragazza?

La maglietta era strappata sulla pancia e sulle maniche; Harding glielo aveva detto che non sarebbe stato facile, il viaggio. Anche i pantaloni erano strappati, sulle ginocchia, e aveva le gambe intorpidite.
Strinse le mani, per risvegliarle dal formicolio generale a cui era sottoposto il suo corpo.
Una fitta al braccio la fermò; qualcuno le aveva appena lanciato una pietra.
Scrutò la folla con i suoi occhi azzurro ghiaccio che stavano lentamente migrando verso un rossiccio scuro, il colore del sangue.
Portò una mano al fianco e strinse l'impugnatura della sua Calibro 38.
Sorrise al nulla, al silenzio della gente che la fissava paralizzata.
Si riscosse, ricordandosi delle raccomandazioni di Harding: non doveva cambiare il passato, a eccezione di quell'unica ragazza che non apparteneva a quell'epoca.
Alzò lo sguardo: eccola lì, sul palchetto di legno che piangeva sangue.
Camminò lentamente fino alla struttura e salì: la guardò per un po' ed ebbe l'impressione che anche lei potesse vederla.
«Ti chiami Annabeth?»
La ragazza del buco nero annuì. O almeno, lo fece nella mappa di Evelyn.
«Sono Evelyn. Ti stavo aspettando. Non credevo che il futuro ci avrebbe messo così tanto...»
«Ma che t'investa, il futuro.»
Evelyn ridacchiò e spostò col piede una fascina a cui era stato appena appiccato il fuoco.
«Per ora mi basta di non bruciare... che dici, puoi aiutarmi?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Da me.»
Evie "vide" la ragazza ghignare e ridacchiò a sua volta.
«Cosa vuoi, un poema sul tuo aiuto cavalleresco? Se ti non te ne fossi accorta, mentre noi parliamo tranquillamente, la gente ci manda a fuoco.»
Vero. Le fascine sul palco avevano preso fuoco quasi tutte; la pelle delle due era ricoperta da una sottile patina di sudore.
Annabeth si concesse un ultimo sorriso di scherno per poi portare la mano al suo coltello e tagliare le corde che legavano le mani di Evelyn.
«Vieni, miss Cenere. Seguimi.»

Il viaggio di ritorno fu traumatico per Annabeth e ancora di più lo fu per Evelyn che, appena i suoi piedi si trovarono su una superficie stabile, vomitò.
Non molto, perché nei carceri si faceva la fame, ma quel pezzo di pane che aveva mangiato la sera prima e quel poco d'acqua che aveva ingurgitato quella mattina finirono sul pavimento della stanza di Annabeth in una poltiglia alquanto liquida e oleosa.
Annabeth la guardò disgustata e si tappò il naso, accompagnandola in bagno.
«Sia chiaro che pulisci tu.»
«Senti, tesoro: mi hai salvata, e ti ringrazio, ma ti sembro in grado di pulir-» Evie stoppò la fase, si chinò e vomitò nel cesso.
«Okay... okay. Posso farmi una doccia?»
«Mettici meno tempo possibile, la voglio fare anche io.»
«Quanta gentilezza in una sola persona.»
«So di essere misericordiosa, non c'è bisogno che me lo ricordi.»
Detto questo, la bionda fece dietrofront e uscì dal bagno, o almeno, questo era quello che la mappa diceva a Evie.
Il resto, per lei, era ignoto.
Poteva contare solo su quello che il suo istinto le diceva.
E non era mai andata molto bene, con quello.
L'unica cosa certa, l'unica cosa ovvia, era che quella strana ragazza la odiava. Oppure la ammirava?
Ecco! Le mandava già in confusione le idee! E ci aveva scambiato qualche frase!
"Sarà una lunga giornata..." pensò rassegnata. Poi, con la mente, guardò il box doccia e si decise a togliersi il vomito di dosso.
Che aveva da perdere?

I know, fa schifo ma accontentatevi :3
xx
Annabeth

COSEHWhere stories live. Discover now