Capitolo 3: San Sebastiano

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Firenze, 1471 

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Firenze, 1471 

Nel momento in cui Neri aveva accettato di fare da modello a Leonardo da Vinci tutto si era aspettato, tranne che quello.

La posizione era alquanto scomoda, con entrambi i polsi legati dietro la schiena, e iniziava ad avere freddo con la pelle del tutto esposta alla gelida aria invernale, nonostante si trovassero al chiuso. Per di più, Leonardo era infaticabile – poteva andare avanti ore e ore senza fermarsi.

«Non potremmo fare una piccola pausa?» implorò Neri, per la settima volta nell'ultima mezz'ora.

Leonardo lo ignorò del tutto – come le volte precedenti, d'altronde. Movimenti rapidi e sicuri accompagnavano il suo braccio e le sue dita mentre rimaneva immerso in uno stato di totale concentrazione, lo sguardo che rimbalzava tra il corpo nudo di Neri e il suo grembo.

«Ci sono quasi, un momento ancora» mormorò senza distrarsi. Alla fine mise giù la penna e si passò una mano sporca d'inchiostro sopra la fronte, lasciandovi una striscia nera, e con l'altra sollevò lo schizzo che teneva sulle gambe, ammirando il risultato del suo lavoro. «Abbastanza buono... ma si può fare di meglio» decretò, storcendo il naso con disappunto.

«Io di sicuro non posso far meglio di così» brontolò Neri in risposta. «Ti decidi a slegarmi o no?»

Leonardo agitò una mano nell'aria e rispose: «Arrivo, arrivo. Come sei impaziente.»

Neri si strofinò i polsi indolenziti senza smettere di lamentarsi. «La prossima volta che ti gira di rappresentare un santo appeso in strane posizioni mi faccio pagare il doppio.»

«Suvvia, Neri, pensa al povero San Sebastiano, che ha pure sopportato d'esser saettato dai suoi commilitoni.»

«Sopportazione e santità vanno a braccetto come crostini e fegatelli di pollo, Leonardo, e sebbene io abbia familiarità con la prima sono del tutto estraneo alla seconda.»

«Ma non ai terzi e ai quarti» ribatté Leonardo con una frecciata.

«Nemmeno così in confidenza come vorrei, però» farfugliò Neri mentre infilava la testa nella camicia.

«Avanti, ti offro il pranzo. Basta che la smetti di brontolare.» Leonardo afferrò il mantello arrotolato incurantemente su uno sgabello lì accanto e se lo gettò sulle spalle.

«Ora sì che si ragiona» esclamò Neri con l'acquolina in bocca.

Presero un tavolo in fondo alla piccola locanda che occupava il piano terra dello stesso edificio in cui si trovava la stanza di Leonardo. Il giovane aveva accennato brevemente al fatto che suo padre possedeva in città dei locali più che sufficienti ad accoglierlo, ma che lui preferiva starsene per conto proprio, e che quel posto, sebbene fosse a malapena un buco, gli era congeniale per la sua vicinanza alla bottega presso cui era apprendista. Inoltre, Leonardo diceva che il gran via vai della viuzza lo stimolava e gli forniva ispirazione, senza contare la comodità di avere un pasto caldo a disposizione a qualunque ora del giorno.

Neri terminò la sua zuppa in silenzio, raschiando il fondo della scodella con una fetta di pane, mentre Leonardo se ne stava seduto di fronte a lui, fissandolo con sguardo mesto per tutto il tempo.

«Che mi dici della tua famiglia, Neri?» gli domandò all'improvviso.

Neri mandò giù l'ultimo boccone con una sorsata del vino più buono che avesse mai assaggiato. «Famiglia dici? Non ne ho. Mia madre è morta che avevo sei anni, e non ho idea di chi sia mio padre.»

Leonardo annuì, comprensivo, e volle sapere: «E prima di allora come vivevi?»

Neri si appoggiò allo schienale, grattandosi il mento sbarbato mentre cercava di riportare alla mente i pochi ricordi che aveva degli anni trascorsi al fianco della madre. «Ma, non è che ci sia molto da dire... eravamo poveri di sicuro. Mia madre era una schiava russa al servizio di una famiglia modesta; quando rimase incinta si rifiutarono di mantenere sia lei che il suo piccolo bastardo e preferì fuggire con me neonato piuttosto che sbarazzarsi del fardello. Credeva di trovare fortuna altrove – invece finì per essere pestata a morte in un vicolo anonimo da uno dei suoi clienti. Io vivo da solo per strada da quel giorno.»

Leonardo versò un altro bicchiere di vino dal boccale e lo spinse verso Neri, che lo tracannò con gusto.

«Una schiava... abbiamo qualcosa in comune noi due, in fondo.» Il tono meditabondo di Leonardo lo incuriosì, ma fu la sua affermazione successiva a colpirlo maggiormente. «Non sono degno della vita che la sorte mi ha riservato.»

«Perché dici così?» chiese Neri.

La porta della locanda si spalancò all'improvviso, lasciando entrare una folata gelida che raggiunse il fondo del locale nonostante la calura umidiccia che avvolgeva gli avventori. Leonardo sembrò irrigidirsi per un istante alla vista dell'uomo che aveva appena varcato la soglia, ma poi quello si unì a una combriccola di gente alticcia e lui si rilassò nuovamente, rivolgendo a Neri uno dei suoi sorrisi contagiosi. «Sai che ti dico? Prendiamoci il resto della giornata per riposare. Anzi...» La sua espressione si illuminò in un modo che Neri trovò allo stesso tempo pericoloso e irresistibile. «Che ne dici di divertirci un po'? Te lo meriti, dopotutto.»

«Che intendi esattamente con divertirci?» chiese lui tentennando.

«Seguimi e lo scoprirai.»

Dall'alto della sua esperienza, Neri era in grado di fiutare i guai come un maiale fiuta i tartufi; nonostante ciò, si ritrovò a seguire il suo nuovo compagno verso terreni del tutto inesplorati.

In un altro momento si sarebbe certamente dato dello sciocco, ma non ora che si trovava a passeggiare per le vie di Firenze al fianco di Leonardo da Vinci, noncurante di ogni affanno che lo affliggeva e colmo di una felicità inaspettata.

Il LadroWhere stories live. Discover now