Capitolo 35: Nella tana del lupo

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 Firenze, 1471

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Firenze, 1471

Cosa diavolo ci faccio qui?

L'abitazione di Sandro Botticelli era proprio di fronte a lui, Neri doveva solo decidersi a suonare la campanella appesa accanto alla porta verniciata di verde.

Esitò, rimanendo a fissare i muri rivestiti di intonaco che una volta era stato bianco e che ora cadeva letteralmente a pezzi, le finestre prive di vetri i cui battenti erano ben chiusi per la notte, tutti eccetto quelli della seconda finestra a destra al primo piano, da cui filtrava una lieve luce che galleggiava su e giù come una lucciola, come se qualcuno stesse adoperando una candela mentre si muoveva nella stanza.

Neri si diede un piccolo schiaffo sulla guancia, intimando a se stesso di andare fino in fondo. Ormai era arrivato fin lì, dopotutto.

Già, e perché lo aveva fatto?

Era davvero una presa di posizione, oppure stava semplicemente cercando un modo crudele e contorto di punire Leonardo per il fatto che aveva dimenticato di averlo baciato?

Qualunque fosse la vera ragione della sua presenza lì, si decise infine a suonare. Una sagoma scura si affacciò alla finestra pochi attimi dopo, sbirciando di sotto. Non passò molto che l'uscio si dischiuse con un leggero cigolio, invitandolo a entrare.

La prima cosa che gli saltò all'occhio furono i numerosi strumenti sparsi per la stanza; era evidente che il piano terra fungeva da luogo di lavoro per Botticelli, oltre che da abitazione. Tele e pennelli erano poggiati in bilico su ogni superficie disponibile, ma emergeva un chiaro e rigoroso ordine in cui ogni cosa trovava il suo posto. Soltanto un piccolo tavolo rotondo era sgombro, proprio accanto a una vecchia stufa adibita a cucina su cui un qualche intruglio sobbolliva in una pentola, diffondendo un aroma dolciastro nell'ambiente.

«Neri, sei venuto alla fine.» L'evidente soddisfazione che danzava negli occhi dell'uomo si rifletteva nel sorriso disegnato sulle sue labbra sottili.

Lui deglutì la bizzarra sensazione di trovarsi lì in sua compagnia. «Sono qui, in effetti.»

«Perché non ti metti comodo? Ti offro qualcosa...»

«Non ce n'è bisogno, sto bene così.»

«Ah» sussurrò l'altro per tutta risposta, intrappolandolo con il suo sguardo come una libellula nell'ambra. Botticelli gli girò lentamente intorno, chiudendo man mano la distanza tra di loro. Neri non si lasciò ingannare dai suoi modi cortesi e dal suo aspetto curato – era un lupo, un predatore, e lui la sua preda. Glielo si leggeva in viso.

Purtroppo non poteva che biasimare se stesso per aver ignorato gli avvertimenti di Leonardo ed essersi cacciato dritto nella sua tana.

«E perché sei qui, Neri?» La bocca di Botticelli gli restituì il suo nome come una carezza sulla pelle.

Lui rabbrividì. Era molto diverso da quello che provava quando Leonardo gli era accanto, ma il suo corpo reagì come se quelle particolari attenzioni gli fossero gradite. Quantomeno aveva la conferma di poter provare quel genere di sensazioni con chiunque, e che non fosse una prerogativa dell'amico toccare certe corde.

Non aveva bisogno di lui. Poteva farne a meno, se voleva.

«Credo che tu sappia perché ti ho invitato» continuò Botticelli, fermo alle sue spalle con le labbra che quasi gli sfioravano l'orecchio sinistro. «Non giriamoci intorno, immagino tu abbia intuito cosa voglio davvero da te se ti sei presentato a quest'ora della notte. Certo, mi piacerebbe anche poterti ritrarre, dopo. Magari senza tutti quei vestiti.»

Neri strinse le palpebre e ringraziò il cielo di trovarsi in quella posizione; se avesse avuto gli occhi dell'uomo direttamente puntati sui suoi mentre pronunciava quelle parole, sarebbe probabilmente corso via a gambe levate.

Invece rimase immobile.

«Rilassati, so che è la prima volta.»

Il suo silenzio imbarazzato fu una conferma sufficiente.

«Leonardo non ti merita proprio» ridacchiò Botticelli, giocando coi suoi capelli.

«Possiamo non parlare di lui, per favore?» disse con voce tesa.

«Ah, capisco. Avete litigato non è vero? È per questo che sei venuto a cercarmi. Non potevi trovare modo migliore di ingelosirlo, te l'assicuro.» Poi si spostò, fermandosi di fronte a lui e prendendogli il mento tra le dita per sollevargli il capo e osservarlo meglio. «Non parleremo affatto, se è ciò che desideri. Ma devi sapere che ho dei gusti... particolari.»

Neri deglutì udibilmente, e chiese: «Che genere di gusti?»

«Vieni, te lo mostro.»

Botticelli lo condusse su per le scale fino al piano superiore, dove si trovava la sua camera da letto, e Neri, che in vita sua aveva assistito a ogni genere di depravazione di cui gli uomini fossero capaci, riconobbe all'istante il piccolo telaio in legno con tanto di ceppi per i polsi. Poco più in là, sulla parete, c'era una rastrelliera su cui erano poggiati diversi tipi di fruste: alcune erano formate da corde sottili come fili di capelli, altre erano percorse da nodi in tutta la loro lunghezza, e altre ancora erano più corte ma robuste come bastoni.

Gli girò la testa al solo pensiero di ciò che ognuna di esse avrebbe potuto fargli provare.

«Sai a cosa servono?» gli chiese l'uomo seguendo il suo sguardo.

Neri non riuscì a far altro, se non annuire.

«Allora non c'è bisogno che ti spieghi nulla.» Botticelli fece una lunga pausa per saggiare la sua reazione mentre si avvicinava alla rastrelliera e cominciava a sfiorare i suoi strumenti con gesti amorevoli, con il tocco delicato di un amante meticoloso. Eppure Neri sapeva che era lungi dall'essere quel tipo di persona, non avrebbe mostrato la stessa cura nei suoi confronti.

«Anche lui è stato qui» disse Botticelli. E Neri sapeva che parlava di Leonardo.

«Non voglio sapere niente di lui» rispose con fermezza, sorprendendo l'uomo. Si passò la lingua sulle labbra secche nel tentativo di inumidirle e disse: «Dimmi di te, Sandro. Da che parte preferisci stare?»

L'altro lo fissò con rinnovato interesse, iniziando finalmente a godersi quel piccolo gioco, e si leccò a sua volta le labbra come risposta istintiva al suo gesto. «Di solito prediligo la posizione dominante.»

Neri inspirò, gonfiando il petto, e si preparò alla sensazione della corda che gli straziava le carni.

«Ma, visto che è la prima volta, ti lascerò scegliere» concluse Botticelli prima che lui avesse modo di aggiungere altro. «Non temere, non è così terribile come può sembrare. È una linea molto sottile quella che separa il dolore dal piacere, l'odio dall'amore. Te lo mostrerò se me ne darai l'opportunità.»

Neri serrò i pugni e rispose: «Non stavolta.»

L'uomo gli rivolse un sorriso candido come la tovaglia di un altare, e allo stesso tempo vizioso quanto l'aria d'un bordello. «Scegli pure la frusta» disse indicandogli la vasta gamma a loro disposizione.

Neri si avvicinò lentamente, misurando ogni passo che lo separava dalla parete di fronte a lui. La vista non lo assisteva molto bene, appannata com'era, ma la sensazione delle corde sotto le sue dita era vivida e familiare come non si sarebbe aspettato. Quel contatto era quasi consolante, perché almeno aveva qualcosa a cui aggrapparsi con tutto se stesso. Alla fine ne scelse una e la sollevò.

Se la rigirò tra le mani, soppesandola. E prese una decisione di cui sperava non si sarebbe pentito.

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