Gittato e l'oro del marinaio: una novella de Il ladro

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Firenze, 1471

«Bastardo d'un votacessi! Se ti prendo t'ammazzo!»

Gittato ululò selvaggio, rovesciando all'indietro il capo come un vero lupo, mentre la folla festante in piazza della Signoria lo inghiottiva in un sol boccone nello stesso modo in cui la balena aveva inghiottito Giona.

Era martedì grasso, e c'erano più persone lì che stelle in cielo nella notte di San Lorenzo; quel grullo del Pollaiolo sarebbe stato fortunato anche solo a stargli dietro – altro che mettergli le mani addosso!

Non appena ne ebbe l'occasione, tirò su gli stracci bianchi – beh, quasi bianchi – che gli circondavano il collo, flosci come la pelle smessa di una serpe, e se li avvolse intorno alla testa imitando le decine di ragazzini travestiti da mummie che festeggiavano il Carnasciale. Le mani gli pizzicavano, ma le ustioni che si era procurato dando fuoco ai bozzetti del maestro Pollaiolo non erano gravi, bastavano un po' di miele e una fasciatura.

Era stato più facile che vincere una partita truccata ai dadi con un ubriaco intrufolarsi nella bottega e distruggere tutto, proprio come gli avevano detto di fare Neri e Leonardo. Adesso da Vinci poteva dormire con la coscienza pulita; la sua colpa nei confronti di Verrocchio era cancellata – così come ogni prova che avesse contribuito a rubare la sua nuova opera.

Ammesso che lui e Neri riuscissero a sopravvivere al pericoloso piano che avevano partorito.

Il brutto muso di Diolaiuti e le guanciotte paffute del piccolo Simone non si vedevano da nessuna parte. Aveva perso di vista i suoi due aiutanti durante la fuga dalla bottega. Li avrebbe ritrovati alla Casa – così chiamavano l'abitazione abbandonata in via dei Calzaiuoli che avevano occupato insieme ad altri tagliaborse e orfani di strada come loro.

Gittato si passò una mano tra i ciuffi ispidi che gli coprivano il capo. A volte dimenticava di avere i capelli così corti e sussultava, chiedendosi che fine avesse fatto la sua criniera liscia come velluto e lucida come il guscio d'una castagna matura. L'avrebbe avuta ancora, se non avesse fatto l'errore di mettere mano proprio alla tasca del priore Guidacci, rischiando il cappio o la galera.

Il priore Guidacci era un uomo integerrimo, uno di quelli che riponevano la propria fede nella giustizia terrena tanto quanto in quella divina. Egli era l'incarnazione dell'etica consacrata e della disciplina. Ma se c'era una lezione che Firenze aveva impartito a Gittato era che nessuno – nessuno – è incorruttibile. Beh, magari il priore lo era per davvero, magari era l'eccezione; ma suo figlio no di certo!

Da quando si era unito agli Ufficiali della Notte per dar la caccia a puttane e sodomiti, il ragazzo si era fatto fare più servizietti d'un marinaio in congedo. Lui chiudeva un occhio, e la malcapitata apriva le gambe – occasionalmente anche il malcapitato.

Purtroppo, però, Guidacci non era il solito magistrato pasciuto; per essere un uomo di legge che aveva da poco passato la cinquantina possedeva un certo vigore – e aveva ancora tutti i denti! Le intimidazioni di Gittato al momento dell'arresto lo avevano ferito come uno scudiscio, sì, ma quello non gliela aveva data vinta facilmente: lo aveva afferrato per i capelli, tirandogli indietro il capo, e gli aveva puntato una lama alla gola, ma poi aveva ritratto il braccio per affondare il colpo nella massa bruna che stringeva nell'altra mano, privandolo della chioma di cui andava tanto fiero.

In fin dei conti sarebbe potuta andare molto, molto peggio. La sua vanità era stata intaccata, ma aveva intatte la vita e la libertà – ovvero tutto ciò che possedeva, i suoi beni più preziosi.

Girò l'angolo fischiettando un motivetto allegro. Ormai si era allontanato dal bailamme della piazza e dalle urla di Pollaiolo, così giudicò abbastanza sicuro levarsi le bende e riprendere fiato. La via in cui si trovava era tranquilla, c'era solo qualche poveraccio costretto a lavorare invece di godersi l'ultimo giorno di festa prima della Quaresima.

Il LadroWhere stories live. Discover now