#15

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·Levi·

Mi risveglio in un ambiente sconosciuto.

Sono su un letto dalle lenzuola chiare in una stanza per nulla familiare, ed il profumo di caffè appena fatto mi sale alle narici.

Mi alzo con fare circospetto. Non ho la più pallida idea di dove io mi trovi, né come ci sia arrivato: la cosa non mi rende affatto tranquillo.

Sporgo la testa oltre l’arco che delimita l’ingresso della camera e mi guardo intorno. Sembra un piccolo appartamento. Noto che non ci sono porte, unica eccezione fatta per quello che forse è il bagno, e cammino lungo il piccolo corridoio oltrepassando una cabina-armadio aperta e in condizione di pietoso disordine.

«Sei sveglio!»

Eren è in una piccola cucina, con due tazzine fumanti tra le mani, e mi sorride con calore.

«Dove-»

«-ti trovi? Sei a casa mia, abbiamo preso un taxi. Non eri in condizione di guidare e non so dove abiti, così ho pensato fosse meglio venire qui.» mi porge il caffè, senza distogliere lo sguardo da me neanche un secondo.

Il cimitero, giusto…

«Che ci facevi lì?»

Il castano mi oltrepassa: si dirige nella zona giorno e si accomoda su un piccolo divano, per poi farmi subito cenno di imitarlo.

«Mi ha telefonato Armin. Suo nonno lavora come custode del cimitero, e mi ha riferito di averti visto. Sono corso subito.»

«Perché?»

Il verde dei suoi occhi mi avvolge: non so perché, ma mi sento al sicuro. Non ho mai provato una sensazione simile. A dire il vero non ne ho mai percepito l’assenza. Sono un soldato: il mio compito è proteggere e servire. Eppure, per la prima volta in vita mia, mi sento “custodito", come se la mia persona abbia effettivamente valore per qualcuno. È strano… ma piacevole.

«Perché per me sei importante, Levi, che tu ci creda o no.»

Sorseggia la sua bevanda come se avesse detto una cosa talmente naturale da essere scontata: come se le sue parole siano solo la conferma inutile di un’ovvietà palese.

«Immagino tu abbia delle domande...»

Mi passo una mano tra i capelli, consapevole che merita almeno uno straccio di spiegazione sul perché io mi trovassi in quel posto, lo abbia accuratamente evitato nelle ultime settimane e sul mio comportamento di qualche sera prima. Eren scuote la testa con quel suo sorriso così dolce da far desiderare un assaggio di quelle labbra invitanti e morbide.

«No, Levi. Non ho bisogno di sapere nulla, se non che mi permetterai di restarti accanto.»

«… Come amico?»

Che cazzo di domanda: è logico, no?!

Il moccioso però si irrigidisce, sembra riflettere sulla risposta, e da qualche parte dentro di me spero che quest’ultima sia diversa da quella ovvia che mi aspetto.

«Certo. Come amico.»

Naturalmente, un’altra delusione.

Restiamo ad osservarci l’un l’altro per un lungo istante, durante il quale mi rendo conto di desiderare la sua presenza ogni singolo giorno.

«Ho notato che qui non ci sono porte.»

Lui alza le spalle, curvando leggermente le labbra all’insù.

«Non mi piacciono gli spazi stretti. Ci sono già troppe barriere di ogni genere in giro e in casa mia mi piace sentirmi libero.»

Mi guardo intorno, studiando l’ambiente, e mi accorgo che tutto ciò che mi circonda parla di Eren: tante piccole polaroid appese su di un pannello in sughero; il sombrero alla parete; il narghilè su di un ripiano all’ingresso; la collezione di film accanto il televisore lì in salotto.

One Last NightWhere stories live. Discover now