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Dev'essere saltata la corrente a un certo punto della notte; anzi ne sono profondamente convinta perché i numeri che lampeggiano sul display della mia sveglia digitale sono quattro ovali, divisi dai classici due punti. No, non può essere solo mezzanotte.

Sentendo caldo senza un apparente motivo, mi scosto la coperta dalle gambe; la temperatura nella stanza è tutt'altro che piacevole, forse per via dei pantaloncini che indosso al posto del solito pigiama lungo. Nemmeno l'abat-jour dà segni di vita e mi ritrovo a sbuffare più del necessario, cercando a tentoni il cellulare per creare un minimo di luce. Devo però attraversare mezza camera da letto prima di trovarlo attaccato invano alla corrente sulla scrivania; sono le tre e trenta del mattino.

Scopro che è scattato il salvavita del contatore solo una volta raggiunta la cucina. Non ho però lasciato acceso nulla che possa aver causato tutto ciò, sono stata attenta a spegnere l'asciugatrice prima di andare a dormire. Dal divano recupero una coperta avvolgendomela attorno alle spalle e giro due volte la serratura della porta di casa; il contatore generale si trova sul lato destro dell'appartamento, in cortile accanto all'entrata del ripostiglio.

Un cane abbaia in lontananza e sussulto quando appena qualche istante più tardi un gatto emette un suono piuttosto sinistro dall'altro lato della strada. I lampioni del viale non funzionano correttamente, alcuni di loro emettono una luce fioca e precaria, come se potessero spegnersi da un momento all'altro, lasciandoci tutti nel buio più totale.

Scendo gli scalini in fretta, attenta però a non inciampare nella mattonella rotta sull'ultimo gradino; è così da sempre e io rischio d'incapparci almeno una volta al giorno. Le due levette principali del contatore sono rivolte verso il basso, eppure continuo a non capire cosa possa aver causato l'interruzione della corrente. Non appena le riporto nella loro collocazione originale, la luce della veranda prende vita, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. Il che però non ha lunga durata perché appena chiudo lo sportellino, pronta a tornare in casa, qualcuno a poca distanza alza la voce. Sobbalzo sui miei stessi piedi, rischiando di far cadere al suolo il telefono ancora luminoso tra le mie mani.

Non è una persona sola a parlare, sono due. Forse persino tre. Mi avvicino al cancelletto con l'intento di sbirciare, giusto a controllare che nessuno si sia avvicinato troppo; il flash del telefono si affievolisce fino a scomparire. La casa con il proprietario a me sconosciuto sembra aver preso vita: una persona è all'interno del giardino, altre due sono al di fuori di esso e la luce della veranda illumina buona parte dell'abitazione.

La prima voce che ho sentito appartiene a una donna. È piuttosto anziana e sembra essere nella mia stessa condizione: con una coperta intorno alle spalle. Forse è saltata la corrente anche da lei, eppure la presenza di due uomini, appena al di fuori del suo cancello, non mi convince a pieno; ho quasi l'intenzione di chiamare Dylan.

«Bart, te l'ho già detto...»

«Non mi toccare, Clint.» Il braccio dell'uomo, posato sulla spalla dell'altro come a trattenerlo dal muoversi, viene scansato con facilità.

«Non puoi stare qui» la voce della signora anziana è flebile, ma secca e ferma. «Lo sai bene.»

«Questa è casa mia» l'uomo chiamato Bart invece ha un tono strascicato, sembra persino ubriaco. «Ho il diritto di entrare.»

«No Bart, c'è una cazzo di restrizione nei tuoi confronti!» La voce del secondo uomo sovrasta quella di Bart e mi ritrovo a stringere il cancelletto senza che quasi me ne renda conto. «Sei ubriaco fradicio, devi andartene prima che qualcuno ti senta e chiami la polizia. Ti sbatteranno dentro non appena ti vedranno in questo stato. Il solo fatto di esserti avvicinato...»

«Chiudi quella cazzo di bocca!» Urla Bart, interrompendo il discorso dell'uomo chiamato Clint. «Mamma, apri questo maledetto cancello e fammi entrare.» Il suo ordine viene ignorato dalla donna, la quale si rivolge all'altro uomo.

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