XIV

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Sono passate diverse ore ormai, da quando Isabelle se n'è andata. Io continuo a leggere un libro in attesa che venga, però sento le palpebre farsi pesanti in certi momenti.

Mentre sono intenta a finire l'ennesimo capitolo, con la coda dell'occhio mi accorgo di piccoli rumori al di là della finestra o, meglio, sulla finestra.

Abbandono il libro sul letto e, dirigendomi verso la finestra, capisco che da poco ha iniziato a piovere. Piccole gocce si fanno strada sul vetro e scivolano frettolosamente verso il basso.

Appoggio i gomiti sul davanzale e osservo la pioggia come per distrarmi dai miei pensieri; sfortunatamente, accade il contrario. La mia mente viene attraversata da immagini di una ragazza con i capelli lunghi, scuri e in un batter d'occhio mi ritrovo a riflettere a lungo e ad immaginare i suoi baci, i suoi sguardi.

Ripenso al tocco innocente delle dita di Isabelle sul mio corpo e mi scappa involontariamente un sorriso, perché 'innocente' accostato a 'Isabelle' sembra quasi un ossimoro.

E chissà dov'è, in questo momento. La preoccupazione sale quando mi rendo conto che lei potrebbe essere ancora fuori, al freddo e sotto la violenta pioggia. Mi rendo conto che è davvero tardi, desidero che torni al più presto, voglio rivederla.

Mi accorgo di non volere altro che la sua presenza, non volere altro che la sua compagnia, non voler altro che lei.

Purtroppo sono brava solo a fare casini e ad allontanare le persone, questa è una cosa che mi caratterizza da anni ormai. Sfortunatamente, aggiungerei.

Il mio problema è che ho sempre troppe cose per la testa, troppi pensieri, dubbi o preoccupazioni, ma al momento di agire non rifletto mai.

Mi allontano di poco dalla finestra e mi appoggio alla scrivania, prendo il cellulare e provo a chiamare Isabelle. Probabilmente i miei tentativi saranno vani, ma ci provo lo stesso.

Quello che ottengo è solamente il suono del cellulare che squilla a vuoto e della segreteria, ovviamente.
Ovviamente, sì, ovviamente.

Sbuffo dal nervosismo e per distrarmi afferro il libro posato sul letto.
Ma dove sei? Mi manchi.

Provo a leggere ma non ci riesco più, devo ogni volta ricominciare da capo perché sono troppo impegnata a pensare ad altro. Ci voleva solo questa.

Butto nuovamente il libro sul letto ed ecco che vedo la maniglia della porta muoversi. Non avevo chiuso a chiave, per cui aspetto pazientemente che quel qualcuno là fuori entri.

– Clary...

Nel momento stesso in cui sento quella voce, le speranze di vedere la mia ragazza muoiono all'istante.

– Oh, Jace. Ciao.

Ancora sull'uscio indica con un dito la mia stanza come per chiedere 'posso entrare?' ed io annuisco solamente.

Chiude la porta alle sue spalle e mi raggiunge, prende poi la sedia vicino alla mia scrivania e si siede.

– Devo parlarti, Clary. È giunta all'istituto una donna, dice di chiamarsi Amatis...

Resto in silenzio, fissandolo, per far sì che completi la frase.

– ... Sostiene qualcosa di... strano. Sostiene di essere o, meglio, essere stata la prima moglie di Stephen, il figlio ormai defunto dell'inquisitrice Imogen Herondale.

– E... quindi? – non capisco dove voglia arrivare.

– E quindi – continua lui – mi ha detto che Stephen poi sposò una seconda donna, Celine. Quando Stephen morì, Celine decise di suicidarsi anche se incinta di otto mesi. Amatis però ha voluto sottolineare che, probabilmente, fu Valentine ad architettare il tutto. Si pensa che abbia ucciso lui Stephen e poi Celine, facendo passare l'ultimo omicidio come un suicidio.

My Mystery {Clizzy}Where stories live. Discover now