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Confuse. Quelle otto settimane erano state una totale confusione. Sbiadite, sporche, ininterrotte. Due mesi drogati di ogni cosa e storpiati dall'alcol.

Mario era andato via da casa di Claudio sentendo il cuore lacerarsi dentro. Il dolore più forte che avesse mai provato, un vuoto incolmabile. Era andato a casa e si era distrutto appena chiusa la porta. Aveva pianto per ore nel suo letto con le immagini di Claudio nudo accanto ad un'altra persona, fisse nella sua testa. Verso sera erano tornati Cris e Antonio e l'avevano trovato così nel letto. Inconsolabile. Era riuscito a malapena a spiegare perché stesse così ed aveva subìto l'ira funesta di Cris che non era andata a casa di Claudio solo perché Mario l'aveva supplicata di non farlo.

Dopo poco tempo Alex si era svegliato ed aveva saputo da Antonio. Aveva bussato alla porta di Mario. «Mà, posso entrare?». Nessuna risposta ma lui era entrato lo stesso. Mario sempre disteso che stringeva il cuscino. Non era da lui auto commiserarsi ma in questo caso non aveva sentito la forza di reagire in altro modo. «Mario mi dispiace, mi sento in colpa». Alex si era avvicinato al letto. «So quanto stai soffrendo, credimi, se c'è qualcuno che ti capisce, quello sono io». Mario non lo stava guardando ma non avrebbe mai perso l'occasione di affermare la sua ultima certezza.

«Nessuno capisce. Nessuno capisce cosa significa Claudio per me».

Alex aveva preferito non infierire e l'aveva consolato con delle carezze. «Vabbè, ti lascio solo se vuoi». Mario non l'aveva fermato ma prima che uscisse gli aveva riferito la decisione che aveva preso dentro di sé.

«Alex, domattina parto con te».

Quella notte non aveva trovato pace perseguitato dagli occhi, dalle mani, dalla bocca, dall'odore di Claudio. Un senso di apnea e di nausea. Smetteva di piangere e poi ripensava al sorriso di Claudio dopo che avevano fatto l'amore e non riusciva a non sentirsi solo al mondo. La mattina si era alzato presto, aveva messo le cose velocemente dentro una borsa e, come era arrivato tre mesi e mezzo prima, se n'era andato da Ibiza.

Roma. Roma città grande, Roma città in cui puoi sparire, Roma città in cui, se vuoi, ti puoi perdere. Mario lo voleva. Nella sua vita era sempre stato abbastanza lineare, qualche cazzata qua e là. Claudio però la sua vita l'aveva cambiata, questa volta di seguire le regole non gliene fregava un cazzo. Aveva chiamato delle vecchie conoscenze, vecchi amici dell'università con cui aveva fatto qualche serata pazza, in particolare Federico con cui aveva girato mezza Roma tra un esame e l'altro. E così aveva iniziato a stordire il dolore. Alex continuava a chiamarlo, a cercarlo, ogni tanto Mario gli rispondeva senza nemmeno ricordarlo il giorno dopo e Alex lo raggiungeva trovandolo il più delle volte sudato, fatto, stare male.

All'inizio aveva provato a farlo ragionare. «Mario, dai su, che cazzo stai facendo? Lo so che soffri ma così non migliori niente».

Ma da parte di Mario riceveva sempre le stesse risposte pronunciate a fatica: «Io non vivo senza lui. Senza di lui non vale la pena. L'amore della mia vita si è scopato un altro. Cosa dovrei fare?». E Alex sinceramente non sapeva cosa dirgli perché non aveva mai visto Mario così. Mario è di quelle persone che, in fondo, decidono da sole come curarsi o come distruggersi. Puoi provare a parlarci ma da sole decidono come stare o come non stare. E così Alex, subendo il fascino di Mario a cui non ha mai smesso di essere indifferente, si era fatto trascinare spesso nel limbo stupefacente, considerando che anche a lui serviva non pensare. E così lo scandirsi del tempo si era annullato. Dormire il giorno ed uscire la notte aveva reso i giorni uguali.

Non c'erano domeniche o lunedì, solo dolore. Mario aveva vietato ai suoi amici e ai suoi due coinquilini, Giada e Stefano, di provare a mettersi in contatto con Claudio o qualsiasi persona a lui relazionata.

Si sarebbe ucciso piuttosto che vivere senza di lui ma Claudio aveva fatto l'unica cosa su cui nemmeno lui aveva potere. Aveva fatto l'unica cosa che non poteva accettare. L'unica cosa per cui gli aveva detto che non lo avrebbe perdonato. Quando aveva ripensato alla dinamica di quella notte aveva provato una rabbia nera. Si era pentito di averlo conosciuto. Testa di cazzo, questo sei. Un figlio di puttana che prima di chiedermi spiegazioni ha preferito farmi male nel modo più atroce che esista. Dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ci siamo detti, hai preferito cedere alla gelosia invece di aspettare prima di pugnalarmi dritto al cuore. Vaffanculo. E aveva pianto a dirotto perché quella sensazione di mancanza d'aria lo stava iniziando a torturare. E così, la sera si distruggeva un'altra volta. Le settimane passavano ed i segni dello sbando si iniziavano a notare. Mario aveva perso completamente la capacità di sorridere e di ridere. Lo vedevi a malapena durante il giorno, non faceva niente, usciva solo con uno scopo e non parlava con nessuno. In pratica parlava solo con Alex o Federico da sbronzo.

Alex nel tempo aveva sviluppato una sorta di attrazione celata dietro una forma di protezione nei suoi confronti. Non si era staccato un attimo, la cosa era partita come appoggio morale ed era finita come voglia di stargli accanto, di sentirsi come quando a sedici anni aveva perso totalmente la testa per lui. E così, nelle serate, gli era stato sempre appiccicato, lo aveva abbracciato, lo aveva difeso per qualsiasi coglione che diceva qualcosa, lo aveva accompagnato in qualsiasi posto, pure al cesso, e Mario senza nemmeno accorgersene aveva fatto in modo di avere bisogno di lui, di scaricare su di lui tutto ciò che non aveva voglia di affrontare e di trovare in lui un minimo di sollievo per quella metà che gli era stata strappata all'improvviso quel giorno di agosto.

E così, ogni tanto, aveva lasciato che Alex si avvicinasse di più, che lo baciasse sul collo, senza respingere il suo contatto fisico. Non l'aveva fatto per desiderio ma aveva dovuto tappare in qualche modo quel baratro di solitudine in cui si era ritrovato. Aveva dovuto in qualche modo far pagare a Claudio il fatto di avergli tolto l'amore dalle giornate, dalla vita. Un solo pensiero, costante, invadente, sovrastante, asfissiante nella sua testa, non lo aveva mai lasciato. Come se lo stesse vivendo e rivivendo senza sosta, come se fosse una maledizione. Mario aveva passato quei due mesi sempre sentendo la stessa voce, una voce che gli aveva scavato una fossa in cui piano piano affondare. Una voce dietro al suo orecchio, un sospiro che lo aveva tenuto stretto.

Anche io sono innamorato di te.

Il pensiero di Claudio dentro qualcun altro gli aveva tolto la fame e l'amor proprio. E più era andato avanti, più svegliarsi con un'altra attitudine era diventato un obiettivo lontano e faticoso da raggiungere.

Ora è sabato sera, Mario è in un locale di Roma, il Combo, con Giada, Alex, Federico ed altra gente. È in mezzo alla pista, frastornato, segue la musica elettronica e passa da un ragazzo ad un altro ballando pochi secondi e continuando a girare per il locale, senza fermarsi. Sarà anche forse per la pasticca di MD. Il suo cellulare ce l'ha Alex, per ragioni ignote. Chissà quando è successo, chissà perché.

Ed è così che dopo due mesi, in una giornata di ottobre, Alex interrompe quel silenzio assordante. Interrompe la distanza psicologica tra le due metà. Prende il cellulare di Mario, a fatica mette a fuoco lo schermo, cerca, trova. Copia il numero nel suo, scrive, e senza pensarci invia.

Tu non lo meriti. Lui non ha bisogno di te. Sei riuscito solo a fargli male. 

Adesso ci penso io a lui.

Occhi dentro occhi Where stories live. Discover now