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Mario si sta rivestendo con il completo di Luca. Gli sta come se fosse suo e come se dovesse stare così a tutti quelli che lo indossano. Claudio sta fissando l'armadio aperto da cinque minuti senza muoversi. «Cla? Pensi di farcela o vuoi una mano?».

Claudio lo guarda sbuffando. «Non so cosa mettermi. Con te vestito in quel modo mi sembra di vestirmi male qualsiasi cosa metta... Allo stesso tempo, non so, non sono mai andato al Velvet vestito così, diciamo che di solito sono meno elegante e più attillato». Sorride con l'aria da furbetto.

Ora è Mario che si guarda perplesso. «Dici che sono fuori luogo? Mi posso cambiare subito...».

Claudio scuote la testa. «Macché, tanta gente va in completo dopo il lavoro, c'è un po' di tutto. E poi, se tu sei fuori luogo vestito così, gli altri non so cosa dovrebbero fare».

Mario alza le sopracciglia. «Non esagerare adesso». Sorride divertito. «Esattamente cosa intendi con attillato...?».

Claudio si illumina, si gira verso l'armadio. Prende delle cose. «Intendo...», si infila un paio di jeans neri strappati, «questi, e...», si toglie la maglietta che ha addosso lanciandola in un angolo, cerca, trova, si infila, «questa per esempio».

Mario deglutisce, davanti a lui Claudio dentro quei jeans stretti che marcano tutte le sue forme e sopra una maglietta bianca quasi trasparente, praticamente appiccicata alla pelle, da cui si intravedono tutti i suoi muscoli, i suoi pettorali. Per non parlare del ciuffo tendente al biondo perfetto, gli occhi verdi che brillano e quelle labbra gonfie e rosse. Mario non sa se essere felice o disperato di sapere l'effetto che quel ragazzo provoca sugli esseri umani, specialmente se uomini e gay.

«Be'? Non dici niente?».

Mario sbatte le palpebre. «Carino...». Arrossisce e distoglie lo sguardo.

Claudio soffoca una risata. «Come puoi essere così timido dopo quello che abbiamo appena fatto? Questa cosa non la capirò mai ma allo stesso tempo mi fa impazzire».

Mario ride. «Basta, andiamo dai, sono curioso di vedere questo posto».

Raccolgono le cose, escono.

In macchina sono allegri, Claudio parla senza sosta di tutto quello che vede fuori dal finestrino. Ogni angolo un ricordo. E Mario lo ascolterebbe per tutta la vita. Mentre lo guarda pensa che oltre alla bellezza disarmante, Claudio è anche di un'intelligenza rara, un carisma speciale che affascina le persone. Si chiede come sia possibile che fino ai suoi ventisei anni nessuno si sia messo d'impegno per farlo innamorare. Mario pensa alla prima volta che lo ha visto. Quel giorno come oggi, l'unico modo per lui esistente di interagire con quell'essere fu battersi fino alla morte per fargli capire quanto amore poteva dare e ricevere. Ed ogni volta che lo osserva, perso nei suoi discorsi, si sente come se avesse compiuto l'impossibile. Poveracci, continuate a sbavargli dietro. Per averlo dovreste come minimo andare all'inferno e tornare indietro e, soprattutto, dovreste passare sul mio cadavere. No, non è un modo di dire. Devo essere morto per lasciare deliberatamente Claudio a qualcuno che non sia io. Tra un discorso e l'altro arrivano, parcheggiano, scendono.

Mario si sta già incamminando verso la porta quando Claudio gli prende un braccio e lo ferma. Lo gira. «Guardami un secondo». Claudio ha un'espressione quasi seria. «Prima di entrare voglio solo che tu capisca che qui sono una specie di personaggio. La gente ha un'idea di me che non ha niente a che fare con il vero me ed io sono sempre stato al gioco, rincarando la dose. Là dentro ci sono abitudini di tutta una vita, persone, modi di fare, con cui mi sono sempre sfogato. Portarti qui è una sfida per me stesso».

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