20.0

208 30 0
                                    


Una settimana dopo

Sospirò pesantemente, gli occhi si muovevano seguendo le righe e i calcoli che aveva scritto e ricontrollato almeno una decina di volte, per poi tornare sempre a quel maledetto esercizio lasciato in bianco.

Esercizio 22/26.

Continuava a guardarlo, osservare ogni dettaglio di quel grafico senza senso, scarabocchiando nuovamente calcoli che non portavano a nessuna delle quattro soluzioni proposte.

Mancavano solo dieci minuti allo scadere del tempo, solo dieci fottutissimi minuti. Come diavolo avrebbe fatto?

Ricontrollò per l’ennesima volta i calcoli precedentemente svolti, e poi, preso da panico tracciò un segno su una delle risposte… a caso.

Si alzò e consegnò il plico insieme ad altri studenti, raccolse la tracolla ed uscì velocemente dall’aula, sudando freddo.

Le mani gli tremavano, frenetiche.

Non era il primo esame, ma quello era decisamente difficile, e se non lo avesse superato, suo padre lo avrebbe lapidato senza troppi problemi.

A volte avrebbe voluto essere un ragazzo come altri, a volte fin troppo disinteressati a tutto ciò che non riguardasse l’ultimo Iphone sul mercato o sulla discoteca più in del momento.

Avrebbe soltanto voluto avere la possibilità di sbagliare, come tutti.

Anche se in realtà, lui stava sbagliando già da un po’, solo non nello studio….

///

Changbin sfornò l’ennesima teglia di cookie, lasciandoli raffreddare sul tavolo mentre si dirigeva verso l’armadietto per estrarne i sacchettini con cui li avrebbe confezionati.

“Un po’ di musica non guasterebbe, sai?”

Il corvino alzò lo sguardo, sorridendo leggermente alle parole del minore, che entrato di soppiatto rimaneva appoggiato alla porta del laboratorio, le braccia incrociate ed un pacato sorriso sulle labbra.

Il profumo di cioccolato gli invadeva le piccole narici, e il caldo del laboratorio fece abbandonare i tremori dettati dal freddo alla sua schiena fieramente ritta.

Gli occhi erano deliziati da quello spettacolo ch’era l’amente: i capelli corvini incollati leggermente alla fronte accaldata, la casacca da pasticcere sbottonata fino allo sterno, lasciando intravedere la pelle diafana e le braccia muscolose lasciate libere dalle maniche tirate sopra al gomito.

“Fa caldo” – Mugolò, lasciando che una mano sbottonasse con flemma i primi due bottoni della camicia azzurra che indossava quel giorno, lanciando un occhiata maliziosa all’uomo che, in un attimo perse la voce.

Deglutì. La gola secca come quella di un assetato nel deserto, lasciò le confezioni sul tavolo, poggiando i palmi sulla superficie fresca.

“Molto” – “Soprattutto ora” – Disse, osservando i movimenti lenti del minore, che intanto aveva sbottonato anche il terzo bottone della camicia, avvicinandosi lentamente a lui.

“A quanti gradi si arriva qui dentro ad Agosto?” – Chiese, sedendosi sul ciglio del tavolo, stando attento a non scottarsi con le teglie roventi, quasi quanto i loro corpi.

“Non credo che superino oggi” – Rispose, lanciando un’occhiata all’oblò e poi al ragazzo.

Le sue dita, attratte come una calamita con il metallo più vicino, si posarono leggere sul suo sterno, arrivando al quarto bottone, sbottonandolo dall’asola.

“Che strano, il termometro non supera i 38 gradi” – Disse, lasciando vagare le mani sulla schiena umida del corvino, attirandolo tra le sue cosce dischiuse.

“Lui non sente la tua presenza” –  Rispose, slacciando gli ultimi due bottoni della camicia, lasciandola scorrere sulle spalle esili, lasciandoci un primo bacio sulla pelle candida.

“E tu? La senti la mia presenza?” – Chiese sospirando, agganciando le dita sui bottoni bombati della casacca, slacciandoli uno dopo l’altro, mentre le lebbra di Changbin passavano gentili sulla clavicola.

Cos’era cambiato dopo Manchester?

Nei loro gesti non c’era più fretta, nemmeno in un luogo come quello, nemmeno se la voglia era molta, se il pericolo che qualcuno li scoprisse era imminente.

Non importava.

“La sento, così tanto che quando te ne vai, tutto cambia. Diventa come una tela grigia, e tu sei la pennellata bianca che riporta la luce su quella tela senza significato”

Felix arrossì. Cosa avrebbe dovuto rispondere?

Era una dichiarazione?

O era una frase dettata dalla libidine e probabilmente solo da un po’ di affetto che provavano l’uno per l’altro?

Il silenzio calò tra i due, mentre le labbra del corvino erano rimaste bloccate sullo stesso lembo di pelle per qualche secondo, attendendo una risposta del minore.

Felix passò le dita sottili e corte sul petto caldo e umido del corvino, optando per una delle sue solite risposte .

“Il tuo lato da poeta si è risvegliato?” – “Vediamo se ho risvegliato anche altro…” – Disse, lasciando vagare una mano fino alla patta del pantaloni, sentendo la stoffa tesa e marmorea.

Changbin afferrò tra le mani il volto di Felix, guardandolo nei pozzi blu – “Tu sei capace di risvegliare molte cose in me” – “Dammi un bacio” – Disse, lasciandogli il volto.

Le mani del giovane risalirono il petto dell’uomo, arrivando fino al collo, poggiandole tra il collo e la mascella per attirarlo più vicino.

Socchiuse gli occhi, le ciglia lunghe che coprivano quasi totalmente la vista delle iridi profonde, mentre le sue labbra raggiungevano finalmente quelle dell’amante.

Prepotente, proprio come quella notte in albergo, la sua mente si affollò di quelle due paroline che chiedevano di essere urlate, ma allo stesso tempo sussurrate dolcemente e alla fine si rintanavano paurose in un angolo del suo cuore che batteva fin troppo velocemente.

Le labbra si muovevano l’una sull’altra, dischiudendosi lentamente al passaggio del muscolo bagnato, alla ricerca della compagna.

Era così bello da far male.

Le dita bruciavano quando toccavano la sua pelle, le labbra cedevano quando incontravano le sue.

Strinse le palpebre, desiderando con tutto sé stesso che solo per quella volta Changbin si accorgesse del battito frenetico del suo cuore, delle sue dita tremanti, delle labbra che chiamavano senza sosta il suo nome.

Che capisse.

Che provasse anche lui la stessa cosa.

Si staccò dalle labbra del corvino con uno schiocco, lasciandolo interdetto mentre si infilava frettolosamente la camicia, sotto il suo sguardo confuso.

“Felix… ma dove vai?” – “Tutto bene?” – Chiese osservando il minore scendere dal tavolo d’acciaio e raccogliere il cappotto scuro lasciato sullo sgabello.

“Scusami, io… sono impegnato” – Disse uscendo dal laboratorio, lasciando solo e confuso l’uomo che, pensieroso si grattò la testa, per poi chiudersi la casacca.

Dove aveva sbagliato?

Felix chiuse lo sportello dell’auto bianca, lasciando ricadere pesantemente il capo sul clacson che sbuffò sonoramente, facendolo sobbalzare spaventato.
Si stropicciò gli occhi umidi, ferendosi con una ciglia lunga finita sull’iride cerulea.

Appoggiò il capo sul poggiatesta, facendo respiri profondi per cercare di calmarsi. Non poteva assolutamente andare avanti così, doveva trovare una soluzione.

Era stato così semplice evitare qualsiasi sentimento fino ad ora.

Mise in moto, dirigendosi verso casa.

Silky Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora