59- (quindici anni prima)

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59

Il sole batteva forte sui marciapiedi, il termometro segnava trentacinque gradi.
Scansò la tenda alla finestra e contrariato osservò Nicole che camminava con la sua andatura frivola, che attirava tutti i ragazzi. John si chiedeva perché Anne avesse partorito una simile creatura perversa.
Era troppo caldo. Si tolse la canottiera scoprendo il petto ricoperto da peli, e una pancia tipica di un ubriacone. Si grattò il tatuaggio sulla spalla che ritraeva un drago che sputava fuoco, e decise di aprire un'altra birra fredda. Si avviò verso il frigo e la estrasse quasi senza guardare, come se sapesse a memoria dove l'aveva riposta. Beveva come un ossesso quando ritornò in salotto. Anne lo osservava senza dire una parola. Da quando aveva perso il senno nessuno ricordava più quale fosse la sua voce, apparte quando il marito la picchiava ed emetteva striduli urli di dolore. Anche quel giorno non sarebbe stato da meno. John notò lo sguardo di rimprovero della moglie posato su di lui, le si avvicinò furioso dandole uno schiaffo sonoro, che le lasciò un vistoso livido. Anne assunse un'espressione dolorante, strizzò gli occhi. «Cosa cazzo hai da guardare, eh?» le urlò a pochi centimetri dal viso. Poi le avvicinò la birra ghiacciata. La povera sapeva cosa avrebbe fatto. Voleva opporsi, e con l'ossuta mano tentò di fermare il marito, ma era troppo debole per resistergli. John la scacciò via e rovesciò l'intera bottiglia sui capelli della donna. Il liquido colò ricoprendole il volto, e bagnandole i vestiti. Nessuno l'avrebbe lavata e avrebbe odorato per lungo tempo di quella schifezza. «Sei odiosa» disse sprezzante. Poco dopo tornò a guardare fuori dalla finestra, ma Nicole era scomparsa. Pervaso dalla rabbia uscì a petto scoperto, sudato e ubriaco.
Aprì il proprio veicolo, entrò e lo mise in moto. Doveva trovarla, non poteva fargliela passare liscia. La aspettava una severa punizione. Mentre il motore si scaldava si accese un sigaro e lo assaporò annebbiando tutto lo spazio. Aprì i finestrini, finalmente poteva partire.

Mike stava chiacchierando con il proprio stomaco, che necessitava al più presto di essere sfamato. Era stato poche volte a Wiklyn e non aveva idea di dove fermarsi a mangiare. Navigò in rete alla ricerca di un buon ristorante. Nessun pub, non ne andava matto.
"Il gusto della tradizione". Suonava bene, e anche il suo stomaco sembrava assentire gioioso. Si accarezzò la pancia- se così poteva definirsi quella tavola da surf- così chiamò il numero e prenotò un tavolo al chiuso, sperando ci fosse dell'aria condizionata. Sapeva che prenotare per un solo posto era da considerare ridicolo, per il fatto che un tavolo l'avrebbe ricavato da qualunque parte, anche nel locale più affollato. Eppure era da quando era piccolo che aveva una leggera ossessione per l'organizzazione. Da sempre amava la routine, la precisione, la puntualità. Da ragazzino era considerato abbastanza bizzarro, ma i suoi amici, che lo conoscevano bene, sapevano che senza di lui non sarebbero stati capaci neanche di prenotare un tavolo per sei. Anche ora veniva considerato strano, ma non gli importava, si sentiva apposto con se stesso e soprattutto orgoglioso.
Accese il motore mentre infilava il cellulare in tasca. Prima di partire notò in lontananza una ragazza che passeggiava lungo il marciapiede di destra. Distava parecchi metri, ancora pochi passi e sarebbe scomparsa dalla sua visuale. Stranamente non l'aveva vista passargli accanto, probabilmente doveva  essere uscita da una delle case che si trovavano più avanti lungo il viale. Per esempio una di quelle apparteneva alla signora Anne e al marito John, ma ve ne erano molte di più. Alcune si affiancavano sul lato sinistro della strada, le altre si trovavano di fronte, al lato destro. Sospirò. Avrebbe dovuto fare alcune manovre per uscire dal parcheggio in cui un'utilitaria rossa e una station-vagon l'avevano incastrato.

Una mano al volante, una sul sigaro che teneva in bocca. Quell'odore era afrodisiaco, lo avrebbe spedito in paradiso se solo avesse creduto nella sua esistenza.
Premette il tasto dell'acceleratore e schivò prontamente una macchina che usciva da un parcheggio. Udì il forte rumore del clacson, neanche il suo furgone emetteva un suono così potente. Se ne fregò e continuò la sua folle corsa ad ottanta chilometri orari.

Nicole mentre camminava osservava il nastro legato al dito. James glie lo aveva regalato come simbolo del loro fidanzamento. «Sarà solo finché non potrò permettermi un vero anello» le aveva promesso. «Non mi serve un vero anello, questo vale più di qualunque gioiello» aveva risposto lei, commossa. Sorrise allegra al ricordo. Alzando gli occhi vide due passanti. Una signora anziana entrava in casa, ma intanto osservava la ragazza. A Nicole non era mai piaciuta quella signora. Era sorda e tutti la compativano, ma nel suo sguardo Nicole vedeva invidia. E notò invidia anche il quel momento. Anche lei sarebbe voluta essere giovane e bella, invece si ritrovava una schiena curva, rughe in tutto il volto e una pelle flaccida. Dall'altra parte invece c'era un ragazzo sui venti anni che stava entrando in macchina. Lo salutò con un cenno. Si chiamava Steven, e le correva dietro da due anni. Eppure a lei non piaceva, era troppo viziato e poco umile. Preferiva il suo James che, nonostante godesse di poco denaro- l'indispensabile per vivere, chi poteva prendere in giro!- aveva un cuore d'oro e lo amava per questo. Suo padre era un alcolista come John, avevano questo in comune, ma entrambi non seguivano le orme del genitore; non bevevano, non fumavano, non si drogavano. L'eccezione in mezzo a tanti adolescenti, a tante pecore smarrite.
Era veramente il ragazzo perfetto, e lei la fidanzata perfetta. Continuò a camminare e lentamente comparve un raggiante sorriso sul suo volto. Quando era confusa la sua strategia era pensare a quanto la vita potesse essere bella in ogni suo particolare, e quante sorprese potesse riservare. Venne investita di colpo da un grande entusiasmo, e chiunque l'avesse incontrata in quel preciso momento avrebbe pensato che fosse la ragazza più solare e gioiosa di Wiklin.
Improvvisamente venne distratta dai suoi pensieri. Oramai anche lungo la strada non c'era più nessuno; Steven era ripartito con la sua auto, e la vecchia sorda era entrata in casa. Aveva sentito un clacson. Si trovava nel marciapiede, non doveva temere, malgrado ciò ebbe una brutta sensazione.

Non la vedeva neanche in lontananza, dove diamine era finita? Doveva portarla a casa e fargli capire chi era che comandava. Assolutamente.
Sentì di nuovo un prurito al petto, avrebbe dovuto soddisfarlo prontamente. Dunque staccò la mano che reggeva quell'affare marrone che stava fumando, fidandosi della resistenza delle proprie labbra sottili e screpolate. Si grattò rapidamente il collo, poi scese al petto, finché non si sentì pienamente soddisfatto. Distrattamente però lasciò che il sigaro cadesse dalla bocca. Immaginava che fosse accaduto. «Razza di coglione» ruggì. Tolse anche l'unica mano che reggeva il volante. Il piede ancora premuto sull'acceleratore.
Raccolse il sigaro, ma di colpo sentì un urlo agghiacciante, poi qualcosa che colpiva violentemente il paraurti. Frenò all'istante e rimase immobile dentro al furgone, finché non vide il dottor Stander correre verso di lui. Si guardarono attraverso il finestrino. Il dottore non sembrava averlo riconosciuto, ma era comunque sbiancato in volto, sbracciava allarmato, aveva gli occhi fuori dalle orbite. Visibilmente sconvolto stava dicendo qualcosa. John però non capiva, vedeva solo le sue labbra muoversi e ripetere quasi sempre la stesse parole. Si concentrò un po' di più, poi comprese.
«Serve aiuto! Aiuto!»

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