3. L'orfanotrofio (Pt. 1)

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"Mamma? Dove sei, mamma? Non ti vedo..."

Intorno a lui non c'era altro che buio, senza inizio e senza fine, senza che si potessero distinguere un sopra e un sotto, o la destra dalla sinistra; gli sembrava di essere in un enorme scatola perfettamente sigillata, perché non si udiva altro rumore che quello dell'eco della sua voce.

"Mamma" chiamò di nuovo, e questa volta la voce di lei gli rispose.

"Sono qua, Eren, non mi vedi?"

Lui girò la testa castana da una parte all'altra, ma continuò a non vedere altro che buio.

"Sono qui" ripeté la voce di Carla, ed il figlio si voltò nella direzione da cui credeva che quella voce fosse arrivata.

Fu a quel punto che successe: una mano lorda di sangue lo afferrò per il bavero della giacchetta; Eren gridò mentre il buio intorno a lui si dissipava tanto da lasciargli vedere il braccio, poi la spalla... Poi si trovò ad un nulla dal volto di sua madre.

Era sporco, pallido, gli occhi erano buchi neri e vuoti dai quali colava altro sangue.

"Sono qui per colpa tua!"

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Eren scattò a sedere strillando di terrore. Aveva il corpo coperto di sudore ghiacciato e batteva i denti.

"Eren" lo richiamò una voce che conosceva bene. Voltandosi incrociò gli occhi cerulei di Armin.

Solo in quel momento si accorse di non essere più al villaggio: lui e tutti gli altri abitanti stavano seduti dentro un capanno di legno dalle pareti tutte bucherellate dalle tarme; lo spazio era palesemente troppo poco e le persone se ne stavano ammassate le une sulle altre, mentre ai bambini e agli anziani erano state lasciate stuoie di paglia intrecciata su cui riposare.

"Dove siamo?" chiese Eren all'amico.

"Nelle campagne fuori dalla città di Trost"

Trost era la prima città raggiungibile verso nord una volta usciti dal piccolo villaggio di Shiganshina; la si poteva raggiungere via fiume oppure a cavallo - rispettivamente con tre e cinque giorni di viaggio- ed era grande il doppio rispetto a Shiganshina.

Considerando che tutti i superstiti dell'attacco al villaggio erano lì presenti, Eren dedusse che dovevano essere stati portati con i barconi, e visto che non ricordava nulla del viaggio, arrivò anche alla conclusione che doveva essere rimasto svenuto per tutto il tempo.

"Chi ci ha portati qui?" domandò.

Aveva appena dieci anni, ma sapeva che essere contadini significava non avere i soldi per permettersi un viaggio simile: la stragrande maggioranza dei suoi concittadini non aveva mai visto la città proprio per quello.

"È stato il governo centrale: ha mandato i barconi dell'esercito per portare qui a Trost i sopravvissuti" gli spiegò Armin.

"E che gliene può importare a Sua Maestà il Re di un gruppo di contadini?" ribatté cinicamente l'altro.

Anni addietro la sua gente -e quella di altri villaggi come Rakago- aveva affrontato carestie, periodi di magra ed una volta anche un'epidemia. Nel primo caso ne erano venuti fuori relativamente indenni, ma sia nel secondo caso che durante l'epidemia molti erano morti -tra cui il padre dello stesso Eren ed i genitori di Armin- ed il governo all'epoca non aveva mosso un dito per loro. Cos'era cambiato, ora? Eren non lo capiva.

Armin scrollò le spalle al cinismo dell'amico: "C'è chi dice che la Chiesa abbia fatto pressione perché si desse assistenza agli sfollati, ma comunque che importa? Per lo meno non ci hanno lasciato a morire nei boschi, no?"

Sangue di demoni (Ereri) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora