4. L'orfanotrofio (Pt. 2)

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Eren si aspettava di tutto, meno che di essere svegliato in quel modo: una suora entrò nella stanza che condivideva con Armin e altri due bambini scuotendo energicamente un grosso campanaccio di bronzo e gridando: "Sveglia! In piedi! In piedi!"

Non fosse stato un ragazzino fondamentalmente educato, il castano avrebbe mandato la donna al diavolo, e non era l'unico ad aver preso tanto male quel brusco risveglio, viste le facce dei propri compagni di stanza prima e dei ragazzi che uscivano dalle altre stanze poi.

Non che gli pesasse svegliarsi presto -ci era abituato anche a casa- ma grazie a quello scampanellio infernale ora aveva un tremendo mal di testa nonostante avesse dormito come un pascià nel letto molto più morbido di quello che aveva a casa sua.

Sia i bambini più piccoli che i ragazzi più grandi si diressero in massa verso il salone principale: il pavimento era fatto dello stesso legno del grande portone, sebbene fosse un po' più consunto, ed erano di legno anche le lunghe panche alle quali i bambini si sedettero, maschi da una parte e femmine dall'altra; la tavola era già apparecchiata. Ad un tavolo rialzato rispetto alle panche dei bambini sedevano la direttrice, un uomo dalla folta barba grigia vestito con un completo nero e con piccoli occhiali tondi calcati sul naso ed una monaca di mezza età dal capo rasato.

Quest'ultima batté il cucchiaio sul bordo del piatto di ceramica che aveva davanti finché la cacofonia di voci e schiamazzi infantili non si fu quietata.

"Bambini" disse a quel punto "rendiamo grazie alla Dea Madre Ymir, da bravi" quindi lei, la direttrice e l'uomo si persero per mano e attesero che i ragazzi seduti alle panche facessero lo stesso.

Eren ed Armin si lanciarono occhiate confuse mentre eseguivano quello strano gesto: lo facevano anche la domenica, nella cappella del loro villaggio, ma in quelle occasioni parlava solo il prete mentre i villici si limitavano a stringersi le mani in quel modo; nessuno dei due bambini aveva la più pallida idea di cosa avrebbero dovuto dire durante quel rituale, e fecero non poca fatica a parlare in sincrono con gli altri quando quelli cominciarono a ripetere a pappagallo tutta la sequela di ringraziamenti e benedizioni che la monaca al tavolo sopraelevato pronunciava.

Quando ebbero terminato le preghiere e poterono finalmente mangiare il latte e la fetta di pane imburrato che costituiva la loro colazione, la bevanda era ormai fredda ed il pane un po' secco.

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Eren aveva sempre detto di non essere interessato a frequentare la scuola, e dopo quel primo giorno di studio si scoprì ancora più fermo nella propria convinzione: lui e gli altri arrivati da Shiganshina non avevano mai studiato prima, quindi erano drasticamente indietro rispetto agli altri bambini, ed il maestro non era un uomo paziente.

Continuava a fare avanti e indietro tra le lunghe tavolate, spiegando ai ragazzi più grandi cose che gli altri non capivano per niente, mentre ai bambini di Shiganshina aveva dato dei pezzi di carta con su scritto l'alfabeto da copiare; ogni volta che passava tra loro, se non gli piaceva come avevano scritto una o più lettere si pizzicava la barba grigia e grugniva frustrato prima di ordinare bruscamente: "Ricomincia da capo!"

Ma se già Eren pensava che scrivere fosse complicato, ritenette il far di conto decisamente infernale, e quando le ore di studio finirono la testa gli scoppiava e gli bruciavano gli occhi.

"Andiamo" cercò di consolarlo Armin "non è stato poi tanto male..."

"Parla per te..."

"Però, immagina che bello quando potremo leggere dei libri veri e propri! Scopriremmo un sacco di cose! Magari anche... Magari anche sui demoni"

Eren divenne scuro in viso: "A me non interessa scoprire cose su di loro. Voglio solo trovare quello che ha ammazzato mamma e vendicarmi"

Aveva una tale rabbia riflessa negli occhi smeraldini, che Armin non se la sentì di ribattere, anzi, per una frazione di secondo il suo migliore amico gli fece quasi paura.

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Durante l'ora di svago, Eren ed Armin decisero di andare nel cortile dell'istituto. Non avevano in mente un gioco preciso da fare, ma dopo aver passato due ore tra storia e matematica, l'idea di stare un minuto di più in quella grande sala lì aborriva, e poi ad entrambi mancava la sensazione dell'erba sotto i piedi e del vento sulla faccia.

Il giardino era immenso, ma per quanto grande fosse, sembrava appena sufficiente a contenere tutti tra bambini, ragazzi più grandi e dipendenti dell'orfanotrofio; l'erba era tanto ben tagliata da sembrare finta, e c'erano piccole aiuole ad ogni angolo, mentre gli alberi erano tutti da frutto. E poi ovviamente c'erano la stalla del cavallo, il porcile ed il pollaio con le galline.

Alcune delle ragazze più grandi erano sedute sull'erba a leggere o a parlare tra loro, mentre un gruppo di bambine più piccole giocava a saltare la corda; i ragazzi più grandi spaccavano legna o si occupavano degli animali, mentre i maschietti giocavano con un vecchio pallone di cuoio o con delle biglie di ferro tutte sporche di terra.

Eren pensò per un momento di unirsi al gioco con la palla, che gli sembrava molto divertente, ma poi lanciò un'occhiata ad Armin, accanto a sé, e cambiò idea: il suo amico non era mai stato molto tagliato nei giochi di quel tipo; in linea generale era gracile e deboluccio e per questo gli altri bambini l'avevano sempre preso in giro. Eren non voleva che succedesse la stessa cosa in quel nuovo ambiente, non dal primo giorno almeno, quindi anziché trascinare Armin in quel gioco non adatto a lui, preferì sdragliarglisi accanto sotto un pesco e restargli vicino.

Ben presto il bambino dagli occhi cerulei si appisolò, ma Eren non ci riuscì: il giardino, il modo in cui tutti giocavano... sembrava tutto bellissimo, ma lui proprio non riusciva a sentirsi tranquillo, forse perché troppo lontano dal luogo in cui era nato e che conosceva bene.

Fu proprio grazie a quel suo atteggiamento che notò un gruppo di due ragazzi che lanciava occhiate nella loro direzione col chiaro intento di non farsi scoprire: il primo aveva corti capelli rossi, e gli mancavano gli incisivi superiori, mentre l'altro era grosso quanto un toro e dotato di due occhi cattivi e porcini.

Il castano restituì loro l'occhiataccia che non erano riusciti a dissimulare, e pensò che non aveano un'aria tanto sveglia, quanto piuttosto intimidatoria. Soprattutto quando il più grosso dei due si scrocchiò le dita fissandolo in cagnesco.

"Non li dovresti provocare..."

Girandosi nella direzione dalla quale quella voce era arrivata, Eren vide che a parlare era stato un bambino della sua stessa età, con il viso squadrato e punteggiato di lentiggini; i suoi occhi castani erano gentili.

"Non mi fanno paura" rispose Eren gonfiando il petto con spavalderia.

"Allora sei un idiota" lo apostrofò il bambino seduto accanto a quello con le lentiggini. Aveva il viso molto lungo e corti capelli castano chiaro.

"Idiota sarai tu" replicò Eren.

"Jean, dai, non serve litigare" si intromise l'altro bambino provando a calmare le acque.

"Non serve che ti preoccupi per uno che chiaramente non vede l'ora di farsi gonfiare, Marco" gli disse Jean.

Marco scosse la testa mora con rassegnazione, poi si rivolse ad Eren: "Scusalo... A parole non è tanto bravo. Tu, comunque, come ti chiami?"

"Eren" rispose subito l'interpellato, che aveva deciso che Marco gli era simpatico "e lui è Armin" proseguì indicando l'amico che si stava svegliando.

"Allora" chiese poi a Jean con una punta di ironia nella voce "che avrebbero di tanto pericoloso quei due scimmioni?"

ANGOLO AUTRICE

Scusate se ci ho messo tanto a pubblicare, ma ho avuto problemi ad arrivare al punto del capitolo, ovvero l'incontro con Jean e Marco, che in questa storia saranno abbastanza fondamentali.

A voi capita mai una situazione così quando scrivete? Nel senso, sapevo di dover arrivare all'incontro tra loro quattro, ma non riuscivo a capire come arrivarci senza che sembrasse una forzatura... Spero che il capitolo vi piaccia lo stesso. ☺️

Sangue di demoni (Ereri) Where stories live. Discover now