6. L'orfanotrofio (Pt. 4)

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Eren non si presentò a cena quella sera. Prima il maestro e poi la direttrice vennero a bussare alla sua porta minacciando di punirlo se non fosse sceso subito con gli altri, e dicendogli che doveva vergognarsi di quel suo comportamento capriccioso e da bambino.

Ma Eren era ancora un bambino, almeno in parte, con soli dodici anni di vita sulle spalle ossute, ed in quel momento provava troppa rabbia per poter vedere chiunque senza correre il rischio di esplodere come una bomba ad olorogeria.

In realtà, lui era sempre arrabbiato dal giorno in cui aveva perso la sua famiglia e la sua casa; c'erano semplicemente giorni in cui riusciva a controllarsi di più ed altri in cui ci riusciva meno. A farlo imbestialire era anche il fatto di non sentirsi compreso dai suoi amici: persino Armin, che era suo compaesano, non sembrava avvertire allo stesso modo la necessità di vendicarsi, ma le aveva viste anche lui le case in fiamme, aveva sentito le grida della gente dilaniata dai Demoni, oppure Eren si era sognato tutto e loro due erano sempre stati due semplici, insignificanti orfani?

Il ragazzino strinse la federa del cuscino nel pugno chiuso, in un muto sfogo della propria frustrazione, finché il gorgogliare del suo stomaco vuoto non lo staccò un momento da quei pensieri.

Era ancora più arrabbiato che mai, ma aveva anche una fame da lupi...

Si voltò verso la finestra accanto al proprio letto: a giudicare dal colore brunito del cielo la cena doveva essere ormai quasi finita, ma forse qualcosa era rimasto, e poi non pensava che le Sorelle gli avrebbero seriamente impedito di mangiare, visto che dicevano sempre di avere a cuore il loro benessere.

Eren scese dal letto e si diresse alla porta della propria stanza senza curarsi di calzare gli stivaletti di cuoio marrone; il pavimento era freddo sotto i piedi. Come si aspettava, il corridoio era deserto, e dal piano di sotto si sentivano le risate dei bambini più piccoli e... Eren si geló sulla cima della scalinata per un secondo: aveva sentito le grida e le aveva riconosciute come quelle di Marco, Jean ed Armin, ed oltre a quelle si sentiva anche il chiasso provocato da piatti e stoviglie infranti e dalle urla degli adulti.

Eren scattò, i piedi scalzi che slittavano sui gradini lisci, saltando questi ultimi quasi a due a due, e non si fermò nemmeno quando fu effettivamente giunto nella sala principale. Gli occhi percorsero velocemente l'immensa sala mentre lui ancora correva: il suo sguardo scivolò dal "tavolo delle autorità" -dietro al quale la direttrice sbraitava con la faccia rossa come se le fosse andata a fuoco- alle tavolate dei ragazzi, tra le quali si agitavano freneticamente il maestro e le Sorelle nel disperato tentativo di calmare il putiferio che era scoppiato, e fu proprio a quel punto che Eren individuò il proprio obbiettivo.

Armin era steso malamente sul tavolo, mentre il ragazzo al quale mancavano gli incisivi lo teneva per la gola; Jean e Marco mostravano serie difficoltà nel tenere a bada l'altro bullo, che assestò una ginocchiata nelle costole del primo ed una testata sul naso del secondo, che gli si era attaccato alla schiena non sapendo, probabilmente, un che altro modo distrarlo da Jean.

Eren volò letteralmente in mezzo a loro, afferrò il collo del ragazzo che Jean e Marco cercavano di tenere a bada e lo trascinò con sé a terra. Nella caduta l'energumeno perse i sensi dopo aver battuto la testa sul pavimento, e a quel punto Eren si rialzò e corse verso il ragazzo senza i denti davanti; non essendo abbastanza alto da colpirlo al volto e non avendo la  forza sufficiente a voltarlo, il castano colpí con un violento calcio dietro al ginocchio, che bastò a distrarre l'assalitore di Armin tanto da fargli mollare la presa sulla sua gola.

Eren nemmeno lo vide il pugno che il ragazzo più grande aveva caricato verso di lui -e che gli avrebbe certo spaccato il naso se l'avesse colpito- ma Jean invece sì e si gettò in difesa dell'amico assestando al bullo una testata nello stomaco.

Sangue di demoni (Ereri) Where stories live. Discover now